Liberi e uguali? di Alberto Fazio

 

Voterò la lista, ma quel nome mi fa pensare ai posti a sedere in un treno vuoto.

La sinistra, dalla rivoluzione francese in poi, è stata l’alfiere dell’Uguaglianza. Sacrosanto principio su cui si sono fatte rivoluzioni, si sono scritte costituzioni e si sono alimentati i rivolgimenti mondiali contro gli imperi coloniali. Ma il principio dell’Uguaglianza non è stato sufficiente a salvarci dallo Stalinismo. Si dirà che è stato perché assieme all’Uguaglianza ci deve essere la Libertà… (e la fratellanza se si vuole essere completi). E così, con la Democrazia, siamo arrivati all’Uguaglianza dei consumi di IKEA e di MC DONALD, l’Internazionale dei consumatori. La tendenziale scomparsa della classe operaia e l’annegamento della società in una indistinta middle class ha creato il modello unico dell’Homo Smartfone la cultura unica di Internet e Wikipedia. In Italia tutto ciò si esprime compiutamente nel Movimento Cinque Stelle che rappresenta bene la nuova condizione umana, la società liquida descritta magistralmente da Zygmut Bauman. Se si esclude da una parte la sparuta minoranza dei dententori della ricchezza finanziaria, e dall’altra la schiera degli esclusi da tutto (nuovi poveri e immigrati) siamo nel COMUNISMO REALIZZATO, e non ce ne accorgiamo. Anche in quello Sovietico di buona memoria, bisognava escludere dal novero degli uguali l’aristocrazia del Partito e gli esclusi da tutto che stavano nei gulag.

Tutto questo per dire che Libertà ed Uguaglianza non esprime nessuna radicalità. Altra cosa sarebbe stata se si fosse scelta una sigla storicamente vecchia, nata in tutt’altri contesti ma rimasta senza seguito nella storia che seguì alla sua formulazione: “unità nella diversità’. Guarda un po’ slogan coniato da Palmiro Togliatti per contestare con una politica fattuale l’oppressività del dominio poilitico-culturale Sovietico.

La difesa e l’affermazione positiva della DIVERSITA’ più e oltre che l’uguaglianza si è caricata da allora di tutti i valori sovversivi e libertari. Non vi è Uguaglianza dei diritti senza difesa della DIFFERENZA e della DIVERSITA’.

La nascita di questa evidenza si deve al Movimento ecologista (e a una parte di quello femminista) che ha introdotto nuovi parametri culturali e valoriali fondati sulla nuova consapevolezza della complessità del nostro pianeta, che rischia la distruzione ad opera della nostra specie a meno che non si riconosca il valore fondante come principio generale della difesa della biodiversità e delle differenze culturali, contro la rapina planetaria delle multinazionali e la distruzione di tutte le culture altre rispetto al modello universale IKEA MAC DONALD.

La Sinistra si è trovata in una situazione in cui avrebbe dovuto ricalibrare e rivoluzionare tutti i propri parametri. Questa operazione doveva essere, era, il significato di SEL. Invece la cultura ecologista è stata depotenziata e resa innocua dal prevalere di un vecchio modo di pensare incapace di integrare le due visioni e rinnovarsi sul piano eminentemente culturale. Dell’impianto valoriale, scientifico e culturale dell’Ecologismo è rimasto un misero e patetico capitoletto nei programmi e negli statuti in cui si parla di “Ambiente”, intendendo in sostanza il problema dei rifiuti e quello del verde. Insomma una fonte di inconvenienti da sistemare in qualche modo ma mai come parte di un discorso più vasto cui accedere, accogliendo le visioni sistemiche e la cultura ad esse relativa che impone veri e propri capovolgimenti di metodologie, di approcci e di valori.

Il ‘Male Oscuro’ della Sinistra sta tutto nel mancato incontro con la Cultura ecologista (e femminista).

Un salto indietro, nel cinquantesimo del ‘68.

Alla fine dei miei anni di liceo, il mio paese, in Sicilia, si svuotò. In quindicimila, su quarantamila abitanti, si avventurarono al nord, in Germania, in Svizzera, a Milano, a Torino… Anche la mia classe di liceo si sparse ai quattro venti. E fra questi c’ero io.

Che cosa era successo? Era successo che le campagne non davano più da mangiare, neanche ai livelli miseri che avevano assicurati fino ad allora. Le macchine, i concimi chimici, l’elettricità e le strade e l’apertura al mercato internazionale avevano industrializzato tutto facendo crollare i prezzi dei prodotti e degli stessi terreni. Quando fu tolto il tappo di una vecchia legge fascista che poneva ostacoli seri al cosiddetto “inurbamento” della popolazione, i villaggi della Riforma Agraria rimasero deserti, i campi e le piccole proprietà curate e coltivate fin lì come la luce dei propri occhi furono abbandonate ai rovi. Non avvenne solo al sud: anche tutte le contrade contadine nelle prealpi venete rimasero disabitate. Assieme allo spopolamento fisico vi fu uno spaesamento culturale che attraversò la società da capo a fondo in modo tale che nulla, proprio nulla fu più come prima.

Senza questo retroterra quella grande rivoluzione culturale che esplose nel ’68 e che azzerò il prestigio degli imam cattolici distruggendo la segregazione sessuale e con essa la struttura stessa dell’autoritarismo, che marcava il rapporto fra generazioni e fra poteri pubblici e cittadini, non avrebbe avuto il carattere universale che invece ha avuto. Oggi nei vicoli di Palermo o di Caltagirone sfrecciano le ragazze in motorino con l’ombelico al vento, vero simbolo ed immagine della nuova condizione femminile, allo stesso modo che ad Amsterdam, a Padova o a Siviglia.

Ma siamo sicuri che sia tutto oro? Quanta mercificazione del corpo e della mente ha accompagnato questa liberazione? Non c’è un nuovo asservimento, tutto diverso da quello antico ma non per questo forse meno inquietante, ai miti del successo attraverso la “fitness”, la bellezza stereotipa e depilata costruita dai chirurghi estetici, ai valori ed ai modelli di un consumismo mentale da “Grande Fratello” e da sballo del Sabato sera, tutto diverso dalla liberazione per cui ci eravamo messi in gioco allora, sulla nostra pelle, su quella delle nostre compagne e dei nostri figli?

Quanto grande è il patrimonio dell’articolatissima diversità culturale radicata nei modi di produzione, nei saperi contadini e artigiani che è stata annientata? Una diversità che dotava ogni paese, ogni contrada, ogni regione, di sue storie, suoi racconti, suoi canti, sue danze, suoi riti, sue feste, posseduti e radicati in ciascuno da millenni? E non era in questo patrimonio che viveva la sacralità della vita e dei rapporti umani? Tutto è andato irrimediabilmente perduto ed oggi, sebbene materialmente più ricchi più “istruiti” e più longevi, siamo culturalmente e mentalmente infinitamente più poveri, espropriati della nostra anima.

Questo nuovo asservimento è il centro della riflessione di Pasolini già all’inizio degli anni ’70. Il suo discorso fu bollato come reazionario, ed era e resta invece il più profondamente e profeticamente sovversivo. Come lui, anche noi lottavamo per l’uguaglianza dei diritti ma non volevamo l’omologazione e la distruzione delle differenze culturali, etniche e di genere che fanno ricca l’anima di un popolo. “Integrato” era la parola che usavamo con disprezzo quando volevamo offendere qualcuno.

Ora tutto questo quadro che appartiene al passato dei più anziani fra noi, si sta riproducendo molto più in grande stile sul piano mondiale. La gigantesca migrazione che sta spingendo l’Africa subsahariana a trasferirsi in Europa ha più di un tratto di somiglianza con quanto avvenuto nella metà del secolo scorso fra il sud e il nord dell’Europa. Le ferite non si sono chiuse, il sud non ha risolto nessuno dei suoi atavici guai, anzi ne ha di nuovi, ed a tutto questo si sovrappone la nuova ondata migratoria dovuta all’esproprio di ogni condizione possibile di vita, in quei paesi, da parte delle multinazionali dell’agricoltura e della compagnie minerarie e petrolifere. Quale Grande Politica si sta pensando per quanto accade? Siamo sicuri che il rimedio sia l’Integrazione dei migranti? O non è piuttosto la riforma radicale del nostro modo di vita, di produzione e di dominio occidentale (e non solo) di cui oggi non si vedono alfieri se non in alcuni sognatori ecologisti?

Vi mando una mia poesia.

Differenza

Non era nella lama

o nel manico di corno

non era in mezzo a loro

e tanto meno attorno

eppure era essenziale

per vedere e toccare:

pensa che ti ripensa,

era la Differenza.

 

Non era di materia

e manco di energia

era tutta là fuori

e nella testa mia;

era una differenza

che fa una differenza:

una grande nozione…

si chiama Informazione.

 

E’ qualcosa di vero

che è fatto di pensiero,

e chi si trova al mondo

per vivere e morire,

un albero o un pidocchio

o un consesso civile,

sempre in un qualche modo

sente la differenza:

sia un microbo o un uomo

è un essere che pensa.

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