‘68 / Cinquant’anni dopo, le (iper)celebrazioni di Parigi di Maia Giacobbe Borelli

 

Cinquant’anni dopo la fine del movimento che ha trasformato la società francese portando le autorità politiche sull’orlo di una grave crisi, la Francia commemora l’anniversario come momento glorioso della sua storia recente. Con questo spirito, molte istituzioni culturali di Parigi si associano per interrogarne la storia, nel tentativo di riattivarne lo spirito. L’eredità del maggio 68 viene rievocata attraverso incontri, laboratori, esposizioni e con l’apertura degli archivi di stato. Tutto questo allo scopo apparente di ricostruire una storia oggettiva del movimento del 68 nei suoi vari aspetti.

Al Palais des Beaux-Arts, fino al 20 maggio, in mostra con Images en lutte, la culture visuelle de l’extrême gauche en France (1968-‘74) i 150 manifesti a firma collettiva e rigorosamente anonima prodotti dagli studenti dell’Atelier popolare che avevano occupato la scuola dal 14 maggio al 27 giugno del 1968. Sono esposte, oltre ai manifesti dell’Atelier popolare, pitture, sculture, foto, video delle manifestazioni e cartelloni, a illustrare la creazione visuale di quegli anni. Le immagini in mostra, alcune molto conosciute, furono prodotte per promuovere le lotte e mai per illustrare gli avvenimenti, internazionali come nazionali. Si solidarizza con i minatori morti nel 1970, gli operai Renault nello sciopero del 1971, gli operai della LIP in autogestione nel 1973, gli allevatori bretoni, si promuove la cerimonia di commemorazione di quella che è più ignota del milite ignoto…la donna, che un gruppo di femministe celebra all’Arco di Trionfo, nell’agosto 1970. La mostra termina con le immagini per il Fronte Omosessuale di Azione Rivoluzionaria, gruppo che viene sgomberato dalle Belle Arti nel febbraio 1974, data che segna anche la fine dell’attività di creazione dei manifesti offerta dagli studenti delle Belle Arti.

Agli Archivi Nazionali con 68, les archives du pouvoir, è offerta una grande mostra divisa in due parti, sia nella sede di Parigi con L’autorità in crisi, dal 3 maggio al 7 settembre, che a Pierrefitte-sur-Seine, la nuova sede, con Le voci della contestazione, dal 24 maggio al 22 settembre. In collaborazione con gli archivi audiovisivi dell’INA e con il quotidiano Le Monde, sono esposti i documenti inediti con i quali la Presidenza della Repubblica, i membri del governo, i funzionari degli Interni e della Sicurezza Nazionale affrontarono, in modo alquanto caotico e dilettantesco, un movimento che nei suoi momenti più alti coinvolse 10 milioni di francesi, bloccando totalmente il Paese. Disponibile un piccolo video di presentazione e un dossier de presse.

Dai documenti oggi resi pubblici, si scopre per esempio che le prefetture supponevano, dietro il giovane Daniel Cohn-Bendit, di nazionalità non francese, un complotto gestito da potenze straniere nemiche interessate a far cadere la Francia nel disordine, e che per questo egli fu controllato assiduamente dalla polizia per oltre dieci anni, insieme ad un altro piccolo gruppo di studenti tedeschi.

Tra le foto in mostra, lunghe file davanti ai negozi per fare provviste nei giorni di sciopero generale, a riprova del sentimento generale di essere sull’orlo di una guerra civile.

L’autorità in crisi riuscirà a riprendere il controllo dei lavoratori e a far ripartire l’economia con i cosiddetti Accordi di Grenelle del 27 maggio, che concessero una moratoria economica agli operai in sciopero e l’aumento del 30% del salario minimo, e con la contromanifestazione del 30 maggio 1968, giornata che culmina con il famoso discorso di De Gaulle. Ma la Francia non sarà più la stessa e darà il via a una serie di riforme in molti settori dello Stato.

Per le strade del Quartier Latin, dal 28 aprile, con Maggio 68: ritorno al quartiere Latino, è possibile rivivere gli scontri con la polizia di quei giorni grazie a una passeggiata sonora, geolocalizzata e in 3d, messa a disposizione dalla radio France Culture (con app di izi.travel da scaricare sul cellulare), vedi info qui, che permette di risentire, a cominciare dalla rue d’Ulm, sede dell’Ecole Nationale Supérieure, le cronache radiofoniche delle barricate commentate da alcuni storici di oggi. Per chi non è a Parigi, è possibile fare del turismo Sessantottino anche semplicemente ascoltando questa balade sonore dal sito di izi.travel.

Il Centre Pompidou riunisce, sotto il titolo Assemblée Générale, un mese d’iniziative (28 aprile- 20 maggio 2018) che ha preso il via con una diretta radiofonica dall’affollata sala d’ingresso del Museo. L’iniziativa prosegue in questi giorni su tre percorsi: con la proiezione di una serie di film sul tema del lavoro, con la rilettura pubblica di un testo teatrale di Jean Thibaudeau, Mai 68 en France, che rievoca giorno per giorno gli avvenimenti attraverso una serie di voci collettive, e con una serie di appuntamenti quotidiani di discussione. Sono oggetto di riflessione vari aspetti della costruzione del discorso rivoluzionario, il suo delirio grafico, quella che si ricorda come una grande festa della politica, con la creazione di avvenimenti nei quali si tentava di realizzare l’unione tra arte e vita. E soprattutto il Centre Pompidou offre una serie di atelier partecipativi che vede coinvolti gli studenti dell’ENSAD, delle Beaux Arts e di varie università, invitati a immaginare la forma e i contenuti che prenderebbero oggi i famosi ateliers populaires del 1968.

I ragazzi hanno a disposizione lo spazio del sottosuolo del Museo, il Forum -1, con una redazione, un atelier di serigrafia, alcune pareti dove sono riprodotti molti manifesti del maggio 68 in forma di enorme arazzo, e un piccolo anfiteatro, costruito appositamente per riunirsi in assemblea generale. Con l’etichetta IAM MAI è possibile per loro progettare dispositivi sonori o visivi, performance, video, ecc. La redazione degli studenti ha prodotto, tra le altre cose, un piccolo giornale chiamato Maisaventures (una cosa a metà tra avventure di maggio e disavventure) che ha debuttato il 30 aprile. Il primo numero ospita un curioso articolo dal titolo Catapulta che avvicina la rievocazione degli eventi del maggio 68 a uno strumento di guerra che è stato reso inoffensivo diventando ormai un gioco da bambini, prosegue interrogandosi sul senso di chieder loro di esprimersi e di “fare una rivoluzione” all’interno di un’istituzione museale finanziata dallo stato e da multinazionali come Hermès o Sonia Rykiel (quest’ultima ha addirittura lanciato ora sul mercato una borsa denominata Pavé, a forma di sampietrino!). Insiste sull’impossibilità di riattualizzare un discorso eversivo concentrandosi sulla sua forma ed evitando di condividerne i valori di fondo. Perché gli studenti di oggi, come quelli di ieri, non sono stupidi.

Il tentativo di fare di questo evento politico un momento performativo, evitando di affrontarne la portata politica e la potenza desiderante, è confermato dal fatto che, per leggere i documenti degli archivi nazionali, per ammirare i manifesti serigrafati nel maggio 68 dagli studenti delle Belle Arti, si paga il biglietto, proprio come per tutte le altre mostre parigine.

Nei documenti esposti è invece chiarissimo l’intento del movimento del 68 di agire contro la società dei consumi, per un cambiamento radicale delle strutture economiche come di quelle culturali. Ne sono testimoni gli avvenimenti di contestazione profonda e radicale che ebbero luogo nei maggiori Festival: la protesta che anticipò la chiusura del Festival di Cannes al 19 maggio, con le dimissioni della giuria (Monica Vitti in prima fila), la contestazione al Festival Jazz di Antibes e a quello teatrale d’Avignone, diretto da Jean Vilar, del luglio successivo, con il clamore provocato dallo spettacolo Paradise Now del Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina, che fece scandalo esibendosi direttamente nelle piazze e coinvolgendo gli spettatori, ma anche con il divieto a rappresentare lo spettacolo politico del Teatro della Chêne noir di Gérard Gelas.

L’avvenimento più rilevante, nell’idea che i luoghi della cultura debbano essere riconquistati alle masse, fu però l’occupazione dell’Odeon, il teatro pubblico di cui era direttore Jean-Louis Barrault, Dal 15 maggio al 14 giugno 1968 quel teatro divenne il luogo principale d’incontro e discussione degli studenti.

Mai prima di quel momento il teatro aveva visto così tanti giovani nei palchi e in platea.

Se tra gli studenti di Nanterre del 1968 la prima rivendicazione fu legata allo svecchiamento dei regolamenti interni che vietavano ai ragazzi di andare nei dormitori delle ragazze, l’eredità del maggio 1968 non può essere affatto circoscritta alla rivendicazione di un generico liberismo, di una lotta per l’abolizione della repressione sessuale, quasi che quelle lotte abbiano avuto come conseguenza naturale l’ingresso massiccio dei giovani in una società dei consumi globalizzata che ha portato alle successive liberalizzazioni economiche. La protesta del maggio 68 sembra ambiguamente legata, negli odierni discorsi di celebrazione, a queste richieste di liberazione personale, lasciando in ombra l’idea centrale di sovvertire le strutture del potere che ne stava invece alla base, la sua universalità concreta, pratica, empirica, le sue visioni egualitarie.

Forse gli studenti francesi che sono in questi mesi arrestati e processati in massa per aver occupato le aule universitarie vorrebbero parlare, piuttosto che di episodi risalenti a cinquant’anni fa, del farraginoso sistema di controllo dei dossier d’iscrizione universitari che il governo Macron ha adottato recentemente, in forma di strisciante numero chiuso.

Così come oggi i ferrovieri francesi avrebbero preferito veder accostati quegli scioperi epocali a quelli in corso contro la precarizzazione dei loro contratti di lavoro, scioperi altrettanto partecipati ma che ottengono una visibilità mediatica molto minore non dico delle lotte del 68 ma anche delle odierne commemorazioni di quelle lotte.

In conclusione, la ipercelebrazione del Maggio ‘68 in Francia, di quello che è stato un momento di destrutturazione profonda delle strutture di dominio, grazie alle lotte studentesche e operaie, sembra avere come effetto di mascherare, anzi di negare proprio, le opposizioni di classi esistenti al tempo, annegandole in un generico rivoltismo. E di negarle di conseguenza anche oggi, per fare di quel momento quello che sarebbe oggi definita come un’enorme performance artistica. Niente di più…

Di fatto, subito dopo il 1968, le strade intorno alla Sorbona furono asfaltate, per evitare che a qualcuno venisse in mente di nuovo di lanciare sanpietrini e di erigere barricate.

(Pubblicato sul sito alfabeta2, il 13 maggio 2018)

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