Per combattere le morti sul lavoro, ridare valore e dignità al lavoro di Renzo Penna

 

Gli incidenti sul lavoro, mortali o gravemente invalidanti, si ripetono giornalmente e, sovente, non fanno più notizia. Affinché siano trattati con evidenza ed interesse dalla stampa nazionale e suscitino emozione nell’opinione pubblica occorre che l’incidente assuma le caratteristiche della strage. Come capitato con i sette lavoratori della Thyssenkrupp di Torino bruciati vivi in fabbrica nel dicembre del 2007. O, nella dimensione locale, riguardi un giovane, come Davide Olivieri, un ragazzo di 22 anni con gli occhi azzurri, così hanno notato e riportato i media, operaio della Sli di Vignole Borbera (AL) al primo impiego, schiacciato la mattina di mercoledì 6 giugno da un muletto all’interno di un capannone dell’azienda di lubrificanti.

Dall’inizio dell’anno al 20 giugno, quando scrivo, i morti sui luoghi di lavoro sono già 346 e il mese di maggio con i suoi 71 morti è da dimenticare. Siamo di fronte a una vera e propria emergenza nazionale.[1]

Certo, come hanno denunciato Cgil, Cisl e Uil, a fronte di un costante stillicidio di infortuni mortali, “continuano ad essere scarsi gli investimenti pubblici e privati per aumentare il grado di sicurezza di chi lavora, favorendo la conoscenza dei rischi, la formazione e la prevenzione come elementi fondamentali per la diffusione di una vera cultura della sicurezza”. E, ancora, “sono indispensabili investimenti sui sistemi di sicurezza e sulla prevenzione, formazione e informazione alle lavoratrici ed ai lavoratori, organici e risorse per mettere in condizione i servizi ispettivi e di prevenzione di svolgere appieno la loro funzione”. Ma trasmissioni come “Report” hanno denunciato, in alcuni casi emblematici come i cantieri navali di Monfalcone, l’assoluta carenza di personale ispettivo nei confronti di realtà dove la presenza di numerose cooperative, ognuna con centinaia di lavoratori, e la pratica degli appalti e dei subappalti renderebbe indispensabile un monitoraggio continuo delle condizioni nelle quali si svolgono le diverse e, sovente, contemporanee lavorazioni. Per non parlare delle inumane condizioni di vita e di lavoro, nero e sottopagato, cui sono sottoposti dai ‘caporali’ i migranti nelle campagne del mezzogiorno,

Gli scioperi dei lavoratori dell’industria che si sono tenuti in prossimità delle Prefetture a Torino e ad Alessandria nel mese di giugno hanno testimoniato bene l’indignazione di fronte al ripetersi dei lutti, ma oggi le parole non bastano più, occorre reagire con forza perché la salute e la sicurezza non possono rappresentare un lusso, ma la normalità di qualsiasi lavoro.

Però come è possibile che un Paese avanzato e moderno come l’Italia, il quale, dopo anni di crisi, presenta una modesta crescita economica, ma continua ad avere un tasso di disoccupazione costantemente superiore alle due cifre – mentre quello giovanile è abbondantemente oltre il 30% – registri, nel 2017, 634 lavoratori morti sul lavoro e oltre 1350 se si calcolano le morti per infortunio con i mezzi di trasporto. E’ indispensabile per invertire questa drammatica situazione che in maniera più approfondita e con maggiore scrupolo siano indagate le vere cause del fenomeno.

Il 25% di tutti i morti sui luoghi di lavoro hanno più di 60 anni. Gli edili superano il 20% del totale dei morti sul lavoro. La maggioranza di queste vittime cadono dall’alto, dai tetti e dalle impalcature. L’aumento per legge dell’età pensionabile anche per queste categorie di lavoratori avrà avuto qualche responsabilità per queste morti? Senza dubbio sì. Così come i provvedimenti degli ultimi governi che, aumentando la precarietà e l’incertezza sul futuro, al pari della possibilità per le aziende di licenziare senza giusta causa o giustificato motivo, hanno reso più deboli i lavoratori, costretti a svolgere mansioni rischiose, dannose per la salute o senza le necessarie attrezzature antinfortunistiche. Lo Statuto dei diritti dei lavoratori approvato dal Parlamento nel 1970 e le conquiste contrattuali delle categorie industriali del 1969 e ’73 avevano superato la monetizzazione del rischio per la salute e il delegato di gruppo omogeneo del Consiglio di Fabbrica era diventato il riconosciuto referente dei lavoratori per denunciare le lavorazioni rischiose e le cattive condizioni ambientali dentro e fuori i posti di lavoro.

Non è un caso che, tutt’oggi, nelle aziende dove è presente e vigile il sindacato gli incidenti gravi e le morti capitano più di rado, mentre le vittime nelle fabbriche che superano i 15 dipendenti sono, per la stragrande maggioranza, operai che lavorano in aziende in appalto, spesso addetti alla manutentori degli impianti e, comunque, sempre assunti a tempo determinato. Gli stranieri, che tanto preoccupano il ministro dell’Interno, sono, dall’inizio dell’anno, oltre il 10% dei morti sul lavoro e così avviene tutti gli anni.

Una situazione specifica riguarda, poi, il settore dell’agricoltura che, costantemente, supera il 30% delle vittime sul lavoro. In particolare gli agricoltori che perdono la vita per il ribaltamento dei trattori sono il 20%. Nel 2017 sono stati 139 gli agricoltori schiacciati dal mezzo che guidavano e la legge europea del 2002 che obbliga chi guida i trattori a superare un esame che ne constati l’idoneità è stata, per l’ennesima volta, non presa in considerazione e rinviata dall’ultimo Parlamento.

In ogni caso l’aumento delle vittime sul lavoro non si risolve con anatemi o grida manzoniane. Il tema deve diventare una priorità dell’agenda politica dei partiti, del governo e del Parlamento. E gli interventi devono incidere sulle vere cause che determinano gli incidenti. Il lavoro, il suo valore la dignità di ogni lavoratore devono tornare ad essere centrali nell’azione politica ai diversi livelli.

A tale proposito, l’avere, da parte dei governi di centrosinistra, manomesso articoli dello Statuto fondamentali nel garantire la libertà e la dignità del lavoratore come il n.13 (Mansioni del lavoratore), favorendo il demansionamento, e le libertà sindacali come il n.18 (Reintegrazione nel posto di lavoro), permettendo alle aziende di licenziare, rappresenta una grave responsabilità politica anche per le conseguenze che riveste nella minore attenzione al tema della sicurezza nei luoghi e nelle attività di lavoro.

[1] http://cadutisullavoro.blogspot.com/

(Alessandria, 20 giugno 2018)

(pubblicato sul sito dell’Associazione “Labour R. Lombardi”, www.labour.it)

 

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