Percossa, attonita/ l’Italia al nunzio sta! di Diego Giachetti

 

Comprendere ciò che è accaduto sarebbe già una mezza vittoria. Capire perché è accaduto dovrebbe essere il presupposto indispensabile per tutti quelli che intendono costruire l’opposizione al governo “giallo-verde”. Verso questo percorso di comprensione vuole condurci il testo prodotto dall’Istituto Carlo Cattaneo sul risultato elettorale del 4 marzo (Il vicolo cieco. Le elezioni del 4 marzo 2018, Il Mulino) che va collocato nell’ambito dell’evento “straordinario” in quanto, dicono fin dalle prime righe, esso segna una frattura tra il mondo di ieri e il mondo di domani. Le ricerche presentate nel libro evitano interpretazioni sensazionalistiche e di “fegato”. Si analizzano risultati e flussi elettorali, gli spostamenti consistenti di voti da un partito all’altro, le perdite e guadagni elettorali, correlandoli a diverse variabili a cominciare dalla distribuzione geografica dei consensi, per proseguire coll’incrocio per fasce generazionali, livelli di istruzione, genere, tipologie di comunità di destino per dirla con Weber, cioè le classi sociali e il contesto socio-economico attuale.

La prima priorità assunta dai ricercatori è stata quella di narrare cosa è accaduto per poi procedere a capire perché è accaduto. E solo in ultimo provare a definire uno o più paradigmi interpretativi da prendersi tutti con la dovuta cautela, poiché neanche la statistica sociale ed elettorale riesce a dare certezza del futuro. I vari capitoli dedicati alle fortune o sfortune elettorali dei partiti fotografano lo stato attuale della biografia del paese, i suoi problemi sociali ed economici, le contraddizioni, gli stati d’animo, i conflitti latenti o dichiarati che si poi manifestati nel comportamento elettorale, producendo un “evento straordinario”. Straordinario non vuol dire solitario poiché esso appartiene alla crisi che ha colpito i sistemi politici occidentali sconvolti dalla più lunga e duratura crisi economica che il mondo abbia conosciuto da un secolo a questa parte, come ricordano nell’introduzione Marco Valbruzzi e Rinaldo Vignati, unitamente al fatto che milioni di persone si sono sposte o stanno per spostarsi su scala planetaria.

L’economia ancora non si è ripresa dallo choc della lunga crisi, il quadro internazionale è in sommovimento e alla ricerca di un nuovo ordine mondiale che dovrebbe scaturire da una ridefinizione dei rapporti di forza tra le maggiori potenze economiche del pianeta. In Italia, nella terza economia della zona euro, i cosiddetti partiti anti-establishment o populisti, non solo sono riusciti a ottenere la maggioranza assoluta, ma sono stati in grado di trovare un accordo per formare un governo che certo non rivoluziona il sistema sociale, ma scombina il quadro politico tradizionale di riferimento. L’affermazione dei Cinquestelle e, in misura minore, della Lega ha messo fuori gioco due dei principali partiti della seconda repubblica: Forza Italia e Partito democratico. Il sistema bipartisan della seconda repubblica, nato negli anni Novanta, si era consolidato attorno all’asse del Partito Democratico (centro-sinistra) e del Popolo della Libertà (centro-destra). Poi è scoppiata la crisi del debito sovrano nella zona euro, l’economia italiana si è avvicinata al bordo dell’abisso e, all’ombra delle misure di austerità imposte dai governi (sia di centro-sinistra che di centro-destra), è iniziato un decennio affannoso per entrambi. A destra, Silvio Berlusconi dovette rassegnare le dimissioni da capo del governo nel 2011 e il suo partito subì un calo dal quale non si è ripreso: 37% dei voti nelle elezioni del 2008, 21,5% del 2013, 13,9% oggi. Il Pd è passato dal 33% nelle elezioni del 2008 al 25,4% nelle elezioni del 2013 e al 18,4% nelle elezioni di marzo.

 

Il recente peso del passato

Cinque anni di politiche governative di centro sinistra, in piena concordanza col padronato e l’establishment delle oligarchie europee, hanno preparato la rivalsa, rabbiosa e rancorosa di una parte consistente di elettorato che ha votato contro chi ha governato, senza badare allo strumento al quale consegnava il proprio voto. Da più di un decennio un numero consistente di elettori si muove con disinvoltura da uno schieramento all’altro. Mancando quelle che i politologi e i sociologi chiamano le istituzioni intermedie volte a canalizzare il conflitto dando loro una forma rivendicativa collettiva, una folla solitaria di elettori “investe” di volta in volta nella forza politica che ritiene più consona a rappresentare il proprio disagio e la propria sofferenza sociale vissuta individualmente, strappando le precedenti “azioni” di speranza date ad altri partiti. Le elezioni del 4 marzo hanno consegnato la vittoria a forze politiche definibili come populiste e sovraniste, con venature xenofobe e razziste nelle sue componenti più estreme. La coalizione di centro destra è la più votata (circa 12 milioni di voti pari al 37%), ma al suo interno si segnala il venir meno dell’egemonia di Forza Italia a vantaggio della Lega che, con i suoi cinque milioni e mezzo di voti (18%), diventa il primo partito della coalizione. Un’avanzata sorprendente: si tenga conto che nel 2013 la Lega aveva ottenuto il 4,1% dei voti. Stessa dinamica di crescita, pur se in misura minore, interessa Fratelli d’Italia. L’altro dato eclatante è quello dei Cinque Stelle. La lista ha raccolto quasi 11 milioni di voti, pari al 32,6%, conquistando la posizione di primo partito. Duttile e ambiguo nelle formulazioni programmatiche e nella propaganda elettorale, questo partito “pigliatutti” ha fatto il pieno di voti, sfondando nel Sud Italia.

Sia la Lega che i Cinquestelle si presentano come forze anti establishment, raccolgono consensi nello scontento sociale, tra chi ha bisogno qui ed ora di una soluzione praticabile e immediata dei suoi problemi. I loro programmi contengono assieme e contemporaneamente elementi dannosi per la stabilità dell’assetto dell’Europa liberal-capitalista attuale, pericolose degenerazioni razziste, e progetti di riforme sociali capaci di intercettare il malcontento diffuso tra gli strati subalterni della popolazione e il ceto medio decaduto e decadente. Settori popolari e del ceto medio basso hanno riconosciuto nel Partito democratico e in Forza Italia i due partiti responsabili della gestione politica degli anni precedenti e li hanno puniti elettoralmente.

Travolgente è stata la caduta del Partito democratico, principale pilastro della mini-coalizione di centro sinistra che nell’insieme ha raccolto circa 7.500.000 voti (23%) di cui 6.153.081 andati al Pd. Cinque anni fa il Pd aveva raccolto 8.646.034 voti, quindi una perdita secca di due milioni e mezzo di consensi. Sconfitto non risulta solo Renzi, che ormai si riconferma come perdente di successo, ma anche i governi che si sono succeduti in questa legislatura, Gentiloni compreso, malgrado i meriti e i successi che la borghesia italiana ha continuato a decantare in questi mesi nella gestione delle politiche liberiste. Diversamente dagli altri partiti, il voto al Pd ha una connotazione univoca di classe: quelli che continuano a votarlo appartengono sempre più all’élite alta e medio-alta nella stratificazione sociale, alle famiglie con reddito medio o decisamente elevato, vivono prevalentemente nei quartieri centrali e per bene delle città. La sconfitta del Pd ha trascinato con sé tutti quelli che ne hanno fatto parte in passato o che in qualche modo lo hanno fiancheggiato, come nel caso della lista Liberi e Eguali, che l’elettorato non ha distinto dal Pd con conseguente delusione per il 3,37% di voti riportati, appena sufficienti a superare lo sbarramento elettorale. Le cose non sono andate meglio per la sinistra radicale: tra questi Potere al Popolo, lista sostenuta da movimenti sociali e organizzazioni della sinistra anticapitalista, ha ottenuto un magro risultato: 367.160 voti, l’1,13%.

La borghesia ha perso il suo cavallo politico migliore, il Pd che, offeso per l’ingratitudine dimostratagli dagli elettori, si ritira “sdegnato” all’opposizione a “mangiare pop corn”, secondo la fine strategia proposta dal brillante ex segretario perdente di successo. Lega e Cinquestelle al governo non potranno però fare a meno di tener conto degli interessi di Confindustria. Neanche la fine dialettica hegeliana (che non possiedono) potrebbe addolcire le contraddizioni nelle quali dovranno agire. Dovranno tener conto degli interessi della grande borghesia e di quella proprietarie di aziende di piccole e medie dimensioni del Nord che hanno favorito la vittoria della Lega. Entrambe le formazioni dovranno provare a esaudire i desideri delle rispettive basi sociali. Il Movimento Cinquestelle ad esempio, dovrà dare una risposta a quella massa di elettori, tra i quali un numero molto grande di lavoratori, precari e disoccupati, che col voto del 4 marzo ha espresso una richiesta di cambiamento delle politiche economiche e sociali dei governi precedenti giudicate incapaci di rispondere alle loro esigenze e bisogni.

image_pdf

Lascia un commento