1968: liberiamo la musica dalla prigionia del racconto ideologico e politico di Diego Giachetti

 

Il cinquantenario dell’evento ‘68 ci porta pigramente a partire dall’evento. Facciamolo pure, ma guardiamoci intorno. Felice Liperi, giornalista e saggista, autore e conduttore di programmi radiofonici, in questo libro, Ribelli e ostinati Voci e suoni del ’68 (Manifestolibri, 2018), mette subito le mani avanti: l’anno magico della “rivoluzione”, scrive, non può e non deve, in ambito musicale, essere schiacciato solo sulla dimensione ideologica e politica. Se con quell’evento la canzone politica, che recupera la tradizione popolare del movimento operaio, riprende fiato, è altrettanto evidente che il ’68 è circondato da un’altra rivoluzione sonora che si esprime con altre parole. Si tratta di tutto quel repertorio classificato come musica rock e beat, debitore certo dell’influenza musicale inglese e americana degli anni Sessanta, ma anche capace di esprimere una propria autenticità attraverso una miriade di giovanissimi interpreti e di altrettanti numerosi complessi. Resta ancora da approfondire invece se fu lo spirito del maggio parigino a introdurre con successo in Italia un drappello di cantanti, tra i quali Francoise Hardy, Sylvie Vartan, Catherine Spaak, Alain Barriere, Adamo, Michel Polnareff, Richard Antony, Johnny Hallyday, Dalida.

La musica rock e beat si diffuse con milioni di dischetti a 45 giri venduti, che entrarono nelle case di altrettanti milioni di giovani e nei bar attraverso i juke box. Un fenomeno che ha reso popolari molti di quei motivi, definiti a volte con sufficienza musica leggera o della “cattiva coscienza”. Proprio nell’anno magico, ci ricorda Liperi, sono sul mercato una serie di hit popolari che consacrano carriere di alcuni artisti. Ricordiamo ad esempio: “Ho scritto t’amo sulla sabbia” di Franco IV e Franco I e “Luglio” di Riccardo Del Turco, che non vanno però oltre i confini della canzone estiva. Mentre altri due brani “Azzurro”, interpretata da Adriano Celentano, e “La Bambola” da Patty Pravo hanno avuto una popolarità e un peso specifico più importante. Con decisione, condivisibilissima, l’autore afferma che entrambi si proponevano come artisti anticonformisti e controcorrente. Patty Pravo, la ragazza del Piper club, impersonava un modello femminile nuovo già dalle prime, canzoni: “Qui e là” e “Ragazzo triste”. Con “La bambola” ribadiva l’autonomia del soggetto donna affermando: “da stasera la mia vita/ nelle mani di un ragazzo no!/ non la metterò più!”. Celentano invece era una figura chiave della musica leggera italiana, protagonista di un messaggio in gran parte inedito, fra rock e beat, che aveva introdotto la rivoluzione dei pionieri del rock’n’roll non solo nello stile musicale ma anche interpretativo, cioè nel modo di occupare la scena.

Il ’68 cantato

Studi, ricerche e anche solo la memoria sopravvissuta di quel tempo, non hanno potuto fare a meno di constatare come l’esplosione della protesta e del movimento studentesco sia avvenuta nel binomio tra impegno politico, legato alle forme tradizionali dell’attivismo, soprattutto nell’area radicale di sinistra e stili e forme contestative provenienti da altri ambiti culturali, da altre esperienze. Il caso italiano però è singolare in quanto vi è una separazione netta fra rock e canzone d’impegno politico, imputabile anche all’atteggiamento assunto dai musicisti più impegnati nel folk che continuarono a considerare la musica rock “troppo leggera”, senza costrutto culturale, popolare e politico, generica e superficiale. Come già lo era stato Cantacronache, il Nuovo Canzoniere Italiano era ostile a tutta la musica leggera, beat e rock

compresi. Una valutazione del tutto negativa che impediva di cogliere come il desiderio di cambiamento delle nuove generazioni fosse presente in entrambi gli ambiti musicali

Di certo gli interpreti della musica leggera hanno avuto un rapporto superficiale con l’esplosione del ’68 e non c’è stato incrocio tra movimento e i giovani cantanti. Se mai la musica leggera incrocia il Sessantotto prima del ’68 con i Nomadi (“Come potete giudicar”, “Dio è morto”), i Rokes (“Ma che colpa abbiamo noi”), Gianni Morandi (“C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones”). Più stretto invece il legame che la canzone dell’impegno politico e militante stabilisce con la ribellione studentesca e operaia di quel momento, per cui il ’68 italiano passa alla storia, grazie al racconto che ne fanno folk singer e cantautori politicamente impegnati, come l’anno della canzone politica che ritorna sulla scena. Si tratta però di una narrazione del movimento e della lotta che procede accanto allo sviluppo di ricerche musicali di valore, come “Visioni “dei New Trolls, primo esempio di psichedelico italiano, e testi come quello di Jannacci-Fo “Vengo anch’io no tu no”.

Il ’68 rappresentò il canto del cigno del 45 giri che proprio quell’anno raggiunse il massimo del venduto per poi iniziare a declinare, sulla spinta del prog rock e dell’avvento dei cantautori, cedendo gradualmente il posto all’album, il 33 giri, che raccoglieva un’ampia sequenza di brani dell’artista. Esso era lo strumento preferito dai cantautori italiani che stavano emergendo. Pur lontani dall’impegno attivo e diretto nel movimento, cantautori sensibili come Guccini, Gaber, De Andrè introducevano una dimensione creativa nuova operando in un mondo di mezzo fra canzone leggera e ballata folk che della prima utilizzava la forma e della seconda il contenuto.

 

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