Migrazioni e cambiamenti climatici di Gianni Tamino

 

Introduzione: Ruolo delle migrazioni nel corso dell’evoluzione

Tutta la Terra è stata colonizzata, nel corso di milioni di anni, in ogni sua parte da tante forme diverse di vita grazie alle migrazioni delle popolazioni delle varie specie viventi. Le migrazioni sono alla base dei meccanismi evolutivi e della regolazione degli ecosistemi.

Si tratta di un principio generale dell’ecologia: per ogni popolazione di ciascuna specie presente in un ecosistema non ci possono essere più individui di quelli che le risorse dell’ambiente possono sostenere, cioè garantirne la vita. Quando il numero di individui è troppo alto o per eccesso di natalità o per riduzione delle risorse dell’ecosistema, quelli in eccesso o muoiono o migrano.

Grazie a queste migrazioni si colonizzano nuove aree, si formano nuovi ecosistemi e gli individui che sono arrivati in un ambiente nuovo, con caratteristiche diverse da quello originario, cercano di adattarsi e nel tempo si evolvono in forme diverse.

Ma le migrazioni animali possono essere anche periodiche, stagionali o legate ai diversi cicli vitali, con utilizzo nel tempo di aree diverse, come nel caso degli uccelli e degli insetti migratori (cicogne, rondini, farfalle monarca ecc.), che utilizzano le migliori condizioni climatiche di zone diverse del pianeta, oppure delle mandrie di erbivori (e dei loro predatori) che si spostano a seconda della disponibilità di cibo, senza seguire una rotta predeterminata. Altri animali passano un periodo della vita in un ambiente e poi ritornano in quello dove sono nati, come i salmoni che ritornano nelle acque dolci per riprodursi e deporre le uova, o le balene grigie che vivono in aree molto fredde, artiche, ma vanno a partorire nelle acque calde del Messico.

Si tratta in ogni caso di spostamenti funzionali al miglior utilizzo possibile delle risorse che l’ambiente può offrire. Dunque le migrazioni sono state e sono essenziali per una equilibrata presenza e diffusione delle più diverse forme di vita sul nostro pianeta.

Le migrazioni nella storia dell’umanità

 

  1. Le migrazioni degli ominidi.   Alcuni milioni di anni fa sul nostro pianeta erano presenti varie specie di ominidi, ognuna caratterizzata da differenti luoghi geografici (prima Africa, poi Asia ed Europa), abitudini e stili di vita spesso differenti (alcuni carnivori, altri vegetariani, altri onnivori; alcuni più legati alle savane altri ad ambienti diversi, ecc.), ma la capacità di colonizzare tutta la Terra è il risultato delle migrazioni che hanno portato in varie parti del mondo i diversi ominidi, a partire dal loro luogo di origine, evolvendosi in varie forme diverse. Dal genere Homo, comparso in Africa circa due milioni di anni fa, si sono diversificate, a partire da Homo habilis, varie specie che sono riuscite a superare i confini del continente africano per arrivare in Asia (Homo erectus) o in Europa (Homo antecessor). Quest’ultimo probabilmente si è evoluto, in Africa, in Homo rhodesiensis, che a sua volta sarebbe migrato anche in Europa, dove avrebbe dato origine, circa 200 mila anni fa, all’Homo neanderthalensis, la prima specie di uomo antico totalmente europeo, che, dopo aver colonizzato tutta l’Europa, è migrato anche in medio oriente e parte dell’Asia. Una specie che nonostante le notevoli capacità di lavorare la pietra e lo sviluppo di prime forme artistiche, avrà però una durata breve e circa 30 mila anni fa si è estinta.

Si è discusso molto sulle cause di questa estinzione ed un tempo la si attribuiva prevalentemente all’arrivo dall’Africa, circa 50 mila anni fa, di una nuova specie più evoluta ed in grado di adattarsi meglio all’ambiente, l’Homo sapiens, ritenuto responsabile dello sterminio dei “cugini” neanderthaliani. In realtà si è visto che le due specie sono per un certo tempo convissute anche in territori limitrofi e in parte si sono incrociate (ancor oggi ognuno di noi ha residui genetici degli uomini di Neanderthal), ma soprattutto i cambiamenti climatici (glaciazioni) e forse un incremento della radiazione ultravioletta per una variazione del campo magnetico terrestre, avrebbe reso più vulnerabili i neanderthaliani rispetto ai nuovi arrivati, dotati di caratteristiche genetiche che meglio li adattavano a queste condizioni. Dunque anche nella preistoria i cambiamenti climatici hanno favorito sia le migrazioni di alcune specie di ominidi che l’estinzione di altre.

L’evoluzione degli ominidi non è stata, come abbiamo visto, solo fisica (caratteristiche del corpo), ma anche culturale, a partire dall’intelligenza (grazie allo sviluppo della parte del cranio che contiene il cervello) e alle capacità manuali (dita opponibili e quindi capacità di presa di oggetti). Ciò ha permesso soprattutto alla specie Homo sapiens di produrre un gran numero di manufatti artificiali, che gli hanno permesso di trasformare la realtà attorno a sé, ma la più importante trasformazione dell’ambiente naturale realizzata dall’uomo preistorico è stata la utilizzazione di piante e animali al fine di sfruttarli per le proprie necessità (Agricoltura), avvenuta circa diecimila anni fa (periodo neolitico), nell’area tra la Mesopotamia e il Mediterraneo (la cosiddetta “mezzaluna fertile”). Fino a quel momento la specie umana si era procurata il cibo o raccogliendo frutta, erbe, radici, altre parti di piante commestibili, molluschi, larve e insetti o cacciando animali, con gli strumenti a disposizione in quel tempo (lance e frecce con punte di pietra lavorata): erano popolazioni di raccoglitori-cacciatori.

 

  1. Le migrazioni di Homo sapiens.   In premessa voglio dire che tutti gli esseri umani attuali (Homo sapiens) sono geneticamente uguali e non ci sono razze al loro interno, perché tutti hanno i tipici geni della specie umana, non sono isolati da barriere geografiche o fisiologiche e sono dunque tra loro interfecondi; sono diversi (e questo è importante per la biodiversità) perché hanno varianti geniche diverse (alleli), come il colore e la forma dei capelli, altezze variabili, piccole differenze nell’emoglobina, ecc.

Come già detto, l’Homo sapiens arriva in Europa dall’Africa circa 50 mila anni fa, ma la sua origine è ben più antica. Probabilmente la sua evoluzione è iniziata, a partire da ominidi più antichi, già tra 400 e 350 mila anni fa e si trovano testimonianze di ossa e manufatti in Marocco risalenti a circa 300 mila anni fa. Però la grande espansione in quasi tutta l’Africa si sviluppa a partire da 200 mila anni fa, con una presenza importante nel Corno d’Africa (Etiopia attuale). Da popolazioni di questi antichi “sapiens” hanno avuto origine una serie di migrazioni verso la penisola arabica (e da qui verso il sud dell’Asia) già più di 100 mila anni fa, ma le migrazioni più rilevanti, verso l’Europa e il centro dell’Asia, sono quelle avvenute circa 50 mila anni fa. Oggi, tutti gli esseri umani derivano da popolazioni originariamente africane, giunte in ogni parte del Pianeta per migrazione.

Ma per comprendere la nostra diversità genetica e culturale, con la sua flessibilità di comportamento e la plasticità biologica, dobbiamo guardare all’antica storia della popolazione di “sapiens” africani, e alle diverse condizioni ecologiche presenti in Africa in quei tempi. L’evoluzione della nostra specie non è stata lineare, cioè una linea continua dalle origini ad oggi; al contrario è stata un’evoluzione complessa, irregolare, “pan-africana”. Dobbiamo dunque ricordare che molte delle regioni oggi più inospitali di quel continente, come il Sahara, un tempo erano umide e verdi, punteggiate di fiumi e laghi e ricche di vita animale. Al contrario molte aree che oggi sono verdi, umide e tropicali, un tempo erano aride. Questi lenti cambiamenti ecologici e climatici che sono alla base di strutture e comportamenti diversi, che ritroviamo tutt’ora negli esseri umani, hanno anche favorito le imponenti migrazioni, prima nel continente africano e poi in tutto il resto del Pianeta.

 

  1. Agricoltura, cibo, ambiente e migrazioni.   Circa 20 mila anni fa hanno avuto inizio le prime forme di addomesticamento di piante ed animali (favorendo la semina delle piante che già utilizzavano come cibo e addomesticando cani e poi ovini); questa pratica si è però affermata in tempi più recenti (circa 11-12 mila anni fa), in seguito ad un importante cambiamento climatico, con riscaldamento globale e conseguente scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello del mare, diffusione di animali e piante nelle regioni in cui il clima divenne più caldo e umido. Questo processo si è verificato, non necessariamente nello stesso tempo, in varie parti della Terra: oltre che in Anatolia e Turchia, nella mezzaluna fertile, in un’altra decina di zone, come nel centro e sud America, nell’India, nella Nuova Guinea, ecc.

L’agricoltura e la pastorizia hanno fortemente modificato la vita degli esseri umani, non più solo raccoglitori-cacciatori, ma la convivenza tra agricoltori e pastori, pur continuando ad utilizzare gli uni e gli altri la raccolta di frutti ed erbe e la caccia, divenne ben presto difficile perché i primi erano sedentari e incominciarono a realizzare villaggi e città, spesso fortificate, mentre i pastori erano nomadi e le loro greggi e i loro armenti danneggiavano i campi coltivati.

Sia le popolazioni di pastori ma ancor più quelle degli agricoltori avevano comunque un netto vantaggio rispetto ai raccoglitori-cacciatori: mentre questi ultimi avevano bisogno di un ampio territorio per sfamare una tribù, con un territorio ben più piccolo gli agricoltori producevano cibo per una popolazione maggiore, permettendo nel tempo una maggiore densità di popolazione, grazie a maggiori probabilità di sopravvivenza e alla diminuzione della mortalità infantile. Ma quando l’annata dava raccolti scarsi o quando la popolazione cresceva troppo, non restava altra via che la migrazione verso nuove terre da coltivare.

Nell’area della mezzaluna fertile le prime migrazioni sono partite probabilmente dall’Anatolia per arrivare al centro dell’Europa e da qui, nel corso di molti secoli, fino alla penisola italiana; le popolazioni di migranti portavano con sé le sementi che avevano selezionato già in Medio Oriente. Altre migrazioni, più tardi utilizzarono la rotta del mare, per arrivare dalla Turchia alle isole greche.

Secondo le indagini archeologiche, la prima ondata migratoria si verificò dal Medio Oriente verso tutta l’Europa, a partire da 9000 anni fa. Una seconda coincise con l’inizio dell’Età del bronzo (circa 5500 anni fa), quando  iniziarono a fiorire le prime civiltà complesse, si cominciarono a sfruttare i cavalli per il trasporto e furono inventati il carro e la biga, e si stabilirono nuove rotte commerciali attraverso l’Asia e l’Europa. La terza ondata avvenne durante l’Età del ferro (a partire da 3000 anni fa), un periodo che vide un notevole incremento nella dimensione delle popolazioni, dei commerci e, purtroppo, anche delle guerre.

 

  1. Le migrazione in epoche storiche.   Nelle epoche storiche più antiche, nonostante l’introduzione dell’agricoltura in alcune zone del mondo (X-VIII millennio a.C.) per lungo tempo moltissime popolazioni sono rimaste sostanzialmente nomadi o, più in generale, mobili proprio perché la loro economia era legata alla pastorizia, al commercio o al mare.

Come testimoniano le fonti archeologiche, durante tutta l’antichità il Mediterraneo è stato percorso da navi ed eserciti che si spostavano da una parte all’altra delle sue coste per creare sbocchi mercantili ed ampliare regni. È legittimo ipotizzare che un altrettanto vivace mobilità abbia caratterizzato anche le altre parti del mondo.

Nel corso dei secoli successivi, l’affermarsi di grandi potenze economiche e militari, sia in Grecia prima e a Roma poi, ha favorito un nuovo tipo di migrazione, conseguente alla costituzione di colonie (si pensi alla Magna Grecia) e di veri e propri imperi, come quello romano, con spostamento di intere popolazioni per colonizzare e governare i nuovi territori conquistati. Comunque la conquista di nuove terre e la loro occupazione era una soluzione al crescente aumento della popolazione, grazie alla disponibilità di cibo e di nuovi strumenti tecnologici.

L’emigrazione ha costituito nei secoli uno degli elementi equilibratori dell’incremento demografico in momenti chiave della storia dell’umanità. La popolazione europea ha trovato infine, dopo la scoperta delle Americhe, nuove terre da coltivare, spazi da abitare, ricchezze da sfruttare, una migrazione che è continuata fino all’ ‘800 e al ‘900, con la conquista del Far West. Tra il 1875 e il 1915 sono emigrati in altri stati circa 13 milioni di italiani, con tassi, ai primi del ‘900, di quasi il 10% della popolazione.

Ma non possiamo dimenticare la migrazione forzata nei secoli scorsi di milioni di africani costretti ad andare in terre sconosciute come schiavi, per dare origine a quelli che oggi sono chiamati “afroamericani”.

Altro tipo particolare di migrazione si è verificato tra la fine ottocento e l’inizio della seconda guerra mondiale dagli stati europei verso le colonie, in particolare in Africa: solo dall’Italia andarono in quel continente (tra Corno d’Africa e Libia) circa un milione di persone.

Ma altre drammatiche migrazioni in Europa sono la conseguenza delle guerre: milioni di profughi e perseguitati costretti ad abbandonare la propria casa, le proprie terre. Un’enorme massa di persone private di ogni cosa materiale e umana, un dramma che porterà nel 1951 alla Convenzione di Ginevra, che introduce la figura giuridica del rifugiato, come colui che “nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato”. Dovremmo tutti ricordarci di questa Convenzione.

Ma la fine della seconda guerra mondiale e il boom economico degli anni ’60, riducono l’emigrazione degli europei verso le Americhe o l’Australia ed i paesi del sud Europa migrano verso i Paesi del centro nord: c’è bisogno di manodopera e quelli del sud sono pronti a fornirla. Italiani, spagnoli, portoghesi, greci migrano all’interno del continente, sempre e ancora per cercare fortuna.

 

  1. Migrazioni ai giorni nostri.   Ancor oggi, quando la migrazione dei nostri connazionali per miseria è nettamente diminuita se non scomparsa, gli italiani residenti all’estero superano i 4 milioni di persone e i numeri sono molto più alti se consideriamo tutti gli europei residenti all’estero: secondo l’Eurostat ogni anno tra 2 e 3 milioni di europei emigrano in altri paesi.

Ma ciò che ha caratterizzato gli ultimi decenni non è stata l’emigrazione, ma l’immigrazione dai paesi del sud del mondo verso l’Europa, Italia compresa, soprattutto perché i migranti arrivano senza autorizzazioni e con mezzi di fortuna, sulle nostre coste.

Se confrontiamo i dati riportati sopra sui nostri migranti con quelli degli immigrati in Europa o in Italia da paesi extraeuropei, si va poco lontano da un pareggio: secondo Eurostat ci sono alcune decine di milioni di stranieri in tutta Europa, di cui circa 5 in Italia.

Nel 2016 sono immigrate in uno dei diversi Stati membri dell’ UE 4,3 milioni di persone, mentre almeno 3,0 milioni di europei hanno lasciato uno Stato membro dell’UE.

Inoltre i dati vanno messi in prospettiva. L’Italia ha 60,5 milioni di abitanti, più o meno. Gli stranieri regolari sono poco più di 5 milioni, cioè l’8 per cento. Il dato si abbassa se calcoliamo solo quelli nati fuori dall’Europa: cioè circa 4 milioni, il 6,7 per cento della popolazione totale, tanti quanto gli italiani all’estero. Sono comunque numeri molto più contenuti rispetto alla media dell’Europa occidentale, e che suggeriscono una realtà molto diversa da una “invasione”: gli stranieri di origine extra-europea compongono oltre il 13 per cento della popolazione tedesca, il 9,9 per cento della popolazione austriaca, l’8,5 per cento di quella francese, l’11,6 per cento di quella svedese, e così via.

Ma non ostante i dati ufficiali, la percezione di molti italiani è che vi è un’invasione di stranieri, di fronte alla quale dobbiamo erigere muri e bloccare i porti.

Va comunque chiarito che i migranti stranieri giungono da noi per disperazione: guerre, regimi totalitari, mancanza di acqua e cibo, cambiamenti climatici, per trovare un paese dove cercare un lavoro qualsiasi, spesso in nero, senza alcuna garanzia (quei lavori che noi non vogliamo fare); anche noi europei andiamo all’estero per migliorare la nostra situazione, ma da condizioni molto meno drammatiche: per ottenere posti di lavoro più soddisfacenti o per fuggire dalle aree del paese dove vi è alta disoccupazione o per spirito di avventura, quasi mai costretti da situazioni disperate, viaggiando con un passaporto e mezzi di trasporto non problematici, ben diversi da barconi e barchini.

Cambiamenti climatici e migrazioni oggi

 Le migrazioni sono, di fatto, uno dei meccanismi che consentono agli esseri umani di adattarsi alle modificazioni climatiche: abbiamo già visto il ruolo svolto dai cambiamenti climatici nel favorire sia le migrazioni dei primi esseri umani, sia il passaggio all’agricoltura, che a sua volta ha innescato importanti migrazioni.

Ma si tratta di cambiamenti avvenuti in modo lento, con possibilità di adattamento in tempi ragionevoli e che, alla fine, hanno favorito la diffusione degli esseri umani sul pianeta.

Ben diversa è la situazione attuale: rapidi cambiamenti in tempi molto brevi, con conseguenze catastrofiche sull’ambiente e sulla vivibilità dei luoghi colpiti, una situazione che rischia di compromettere le condizioni di vita per gran parte dell’umanità.

Secondo uno studio di Raphael Neukom, pubblicato sulla rivista Nature, il riscaldamento globale sta avanzando a una velocità che non trova eguali negli ultimi 2000 anni ed è così esteso da riguardare il 98% del pianeta. In passato le variazioni sono state più lente ed hanno riguardato solo una parte della Terra. Se durante i cambiamenti climatici del passato, il pianeta rispondeva in tempi diversi nelle varie regioni, adesso l’impatto dell’uomo sul clima è così forte che sovrasta tutto e il pianeta risponde globalmente.

Come ha ricordato il Segretario Generale delle Nazioni Unite il 16 gennaio 2018, “Il cambiamento climatico si sta muovendo più velocemente di noi…. Le disuguaglianze stanno crescendo. Il nazionalismo, il razzismo e la xenofobia sono in aumento. Mentre il cambiamento climatico e la crisi migratoria ad esso associata sono senza precedenti, i paesi più colpiti spesso sono i più fragili”.

I cambiamenti climatici agiscono ovunque come amplificatore delle criticità preesistenti e, anche per questo, le conseguenze sull’ambiente e sulla salute colpiscono in misura diversa regioni e popolazioni, alimentando disuguaglianze, ingiustizie e iniquità. Sebbene il miliardo più povero della popolazione mondiale produca circa il 3% di tutto il gas serra del mondo, i morti dovuti a cambiamenti climatici sono attualmente quasi esclusivamente confinati nella parte più povera del pianeta.

Tuttavia, come ha dichiarato lInternational Organization for Migration (IOM), non ci sono stime precise dei migranti climatici e lo status di rifugiato climatico non è ancora previsto nella legislazione internazionale. Secondo un rapporto della rivista “The Lancet”, le migrazioni prossime future sono destinate ad un notevole incremento, a causa dei cambiamenti climatici: fino ad un miliardo di persone costrette ad abbandonare le loro terre. Le cause principali saranno sempre quelle economiche, ma il fattore ambientale andrà ad interagire con una serie di fattori socioeconomici, politici e culturali oltre che con le caratteristiche personali di ciascun individuo. I cambiamenti climatici tenderanno ad esacerbare i tradizionali motivi che portano ad emigrare, avendo un impatto, ad esempio, sull’agricoltura, sui prezzi agricoli, sugli ecosistemi e quindi sulle reali possibilità di rimanere in un dato luogo. Così, accanto a motivi come il “land grabing” (accaparramento delle terre da parte di multinazionali o di singoli stati) vi sarà la desertificazione e la mancanza di acqua o la perdita delle attuali coste, a causa dell’innalzamento del mare, cioè l’impossibilità di produrre cibo per le proprie comunità. In pratica il cambiamento climatico influenza e influenzerà ancor di più in futuro l’economia, specialmente in paesi fortemente agricoli, variando i raccolti ed il costo delle derrate.

Ma oltre alle migrazioni transfrontaliere, un report del World Bank Group ricorda l’importanza delle migrazioni interne, che coinvolgono milioni di persone che si spostano in cerca di posti migliori per vivere (ad esempio da aree rurali ad aree urbane). Quest’ultimo fenomeno contribuisce in maniera significativa all’ulteriore aggravamento delle emissioni clima-alteranti e dei suoi effetti sanitari, a causa dell’aumentata densità abitativa in aree urbane.

Uno studio pubblicato all’inizio di aprile sulla rivista Nature, che analizza il periodo 2000-2015, ha messo in luce che tra 53 e 57 milioni di persone vivono nelle baraccopoli (slum), ovvero in aree prive di acqua potabile, servizi igienici, sanitari e scuole. Si tratta di circa il 50% della popolazione urbana analizzata nello studio che ha preso in esame 31 paesi dell’area sub-sahariana. Si calcola che fino a 100 milioni di persone potrebbero vivere in slum (come quelli di Dakar, Nairobi, il Cairo, Johannesburg, ecc.) nel giro di un paio d’anni. E la situazione è destinata a peggiorare se non ci saranno interventi seri e strutturali per affrontare il problema. Nel 2018 le città africane contavano una popolazione di oltre 470 milioni di persone, destinate a raddoppiare nei prossimi 25 anni, e nei prossimi tre anni in Africa la popolazione urbana supererà per la prima volta quella rurale.

Alcune riflessioni

Da questo excursus sull’importanza evolutiva e sulla ineludibilità delle migrazioni umane, più che trarre conclusioni dobbiamo fare delle riflessioni per garantire che in futuro gli esseri umani possano rimanere sul proprio territorio o muoversi liberamente, sulla base di un rapporto equilibrato tra tutti gli abitanti del pianeta (equa distribuzione delle risorse, viste come beni comuni) e tra gli esseri umani e il loro ambiente (gestione sostenibile dei servizi indispensabili che l’ambiente naturale offre a tutti gli esseri viventi), senza costrizioni o nuove forme di schiavitù. L’attuale numero di migranti nel mondo è sicuramente in crescita, ma i cambiamenti climatici in atto ed ancor più quelli prevedibili per il futuro potrebbero provocare un vero collasso a livello umano oltre che ambientale, se non sapremo trovare valide soluzioni.

Anzitutto va ricordato che la presenza dei migranti, qui da noi in Europa, è la conseguenza delle disastrose condizioni di impoverimento dei paesi da cui provengono, dove, anche dopo il periodo coloniale, abbiamo cercato di esportare il nostro modello politico e le nostre imprese: i luoghi di origine dei migranti sono da secoli funzionali alla nostra stessa economia. Non solo la nostra presenza ha a tal punto impoverito quei paesi da costringere i loro abitanti a lasciarli, non solo in molte di quelle terre si combattono guerre che nascono da interessi esterni alle realtà locali, ma la nostra economia di “paesi sviluppati” ha bisogno di migranti, ha bisogno di persone rese vulnerabili, ricattabili, dipendenti dalla condizione socio-economica a cui vengono condannati.

Le migrazioni ambientali dipendono poi dalle nostre scelte di consumo: il modello di sviluppo attuale si caratterizza per cicli produttivi agricoli e industriali sempre più veloci, intensi e contaminanti, con depauperamento di risorse naturali ed energetiche, tipico dei modelli di economia lineare, con diminuzione di fertilità dei suoli e perdita di biodiversità, aumento della produzione di rifiuti e dell’inquinamento. Gli squilibri ambientali dovuti a questo modello produttivo, insieme alle rapide modificazioni generate dai cambiamenti climatici, causano ambienti ostili alla sopravvivenza delle comunità, accentuano tensioni sociali, diseguaglianze e accrescono condizioni di vulnerabilità e, nelle aree geografiche del mondo meno resilienti e più svantaggiate, determinano la migrazione delle popolazioni.

Le migrazioni ambientali sono dunque uno dei sintomi della crisi ambientale in atto ma anche dell’ingiustizia sociale ed economica insita nell’attuale modello di sviluppo, liberista e globalizzato.

Dal 2008 la globalizzazione (cioè l’estensione a tutto il mondo del sistema di produzione industriale, sviluppato nelle società nord-occidentali), indispensabile per tentare una crescita continua dell’economia, ha provocato una crisi economica, i cui costi sono stati addossati alle classi lavoratrici dei popoli ricchi, mentre i popoli poveri, privati del necessario per vivere, sono costretti ad emigrare in massa dalle loro terre e a sottoporsi a sofferenze inenarrabili nel tentativo di trovare altrove la possibilità di sopravvivere.

Un’economia finalizzata alla crescita della produzione di merci implica uno sfruttamento sempre maggiore delle risorse naturali e, quindi, un’estensione della sopraffazione della specie umana sulla terra e su tutte le altre specie viventi, che si traduce inevitabilmente, in un aumento delle iniquità e delle diseguaglianze tra gli esseri umani. Le conseguenze più gravi di questa crisi ecologica ed economica vengono pagate e saranno pagate in misura sempre maggiore dai più poveri tra gli esseri umani del pianeta.

Studi recenti indicano purtroppo che le crisi ambientali e i cambiamenti climatici aumentano la probabilità di conflitti tra gli Stati, per la terra, per l’uso delle risorse, per l’acqua, ecc. Spesso questi conflitti sono innescati e favoriti da stati esterni, che in quelle zone vogliono controllare l’uso delle risorse naturali o le potenzialità agricole. I recenti conflitti nell’Africa centrale non hanno solo cause locali, ma sono favoriti da paesi che lì avevano le colonie o che in quelle zone hanno proprie multinazionali che sfruttano le risorse locali: si pensi, ad esempio, agli interventi della Francia, ma anche le “missioni militari” italiane in Libia, Mali o Niger non sono esenti da queste logiche. Inoltre queste missioni si configurano anche come “guerre ai migranti”, contrabbandata da guerra ai trafficanti e al terrorismo globale. Queste le recenti dichiarazioni della ministra Trenta: “L’obiettivo della missione italiana in Niger (470 militari) sarà quello di arginare, insieme alle forze nigerine, la tratta di esseri umani e il traffico di migranti che attraversano il paese, per poi dirigersi verso la Libia e in definitiva imbarcarsi verso le nostre coste”.

Sicuramente dobbiamo fare tutto il possibile per evitare un ulteriore aggravamento dei cambiamenti climatici, attuando quelle politiche economiche, energetiche ed ecologiche in grado di evitare la crescita dei gas ad effetto serra e del conseguente aumento di temperatura, che comunque, nella migliore delle ipotesi, salirà nei prossimi decenni di alcuni gradi.

Ma contemporaneamente dobbiamo anche affrontare le inevitabili conseguenze dei cambiamenti climatici e ciò non può prescindere dalla risoluzione delle attuali disuguaglianze e iniquità perché il loro mantenimento finirebbe con il peggiorare i livelli di vulnerabilità di chiunque, comprese le popolazioni oggi considerate a rischio minore. Quindi, oltre ad assumere decisioni rapide e concretamente efficaci per il contenimento delle emissioni di gas climalteranti, è necessario modificare e rafforzare i meccanismi di cooperazione internazionale, per permettere a chi vuole di vivere a casa propria, ma anche di muoversi liberamente per contribuire ai fruttuosi scambi tra popoli, che possono garantire un futuro solidale e pacifico.

(pubblicato su ‘dalla parte del torto’, n. 86, anno XXII, autunno 2019)

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