Il teatro responsabile di Festina Lente e Vagamonde di Raffaella Ilari

“Ma una cosa è certa: costruire muri al posto di ponti e chiudersi in stanze insonorizzate,

non porterà altro che a una terra desolata, di separazione reciproca,

che aggraverà soltanto i problemi”

Zygmunt Bauman

 

«Il nostro tentativo è quello di andare avanti, non di tornare indietro. In un’epoca in cui si pensa che tutto debba rimanere immobile, tutto si debba chiudere, l’arte diventa quasi un fatto politico. Non dobbiamo avere paura del cambiamento, siamo chiamati a grandi cose, ad aprirci, accogliere, capire. Non importa la religione, l’età, il colore della pelle: insieme lavoriamo intorno ad un progetto comune e giochiamo a fare teatro. Il teatro è vita, offriamo una visione laica dello stare insieme.» Queste le parole, firmate dalla regista Andreina Garella, riportate sul foglio di sala de “Il rifugio della sabbia”, spettacolo che ha debuttato lo scorso ottobre alla Galleria San Ludovico, nell’ambito di Verdi Off che lo ha commissionato e di cui le belle immagini di Stefano Vaja lo raccontano accompagnando il nostro scritto. Un “Nabucco” raccontato da donne di tutto il mondo per guardare alla terra lasciata e a quella ritrovata, così come nell’opera verdiana il popolo ebraico viene costretto all’esilio.

È una storia prossima ai 20 anni quella che lega Festina Lente Teatro e Vagamonde, associazioni tra le più attive del nostro territorio che dal 2003 hanno accostato le loro esperienze unite dal desiderio di utilizzare il teatro per raccontare storie personali. Inizia da qui il percorso teatrale rivolto alle donne migranti e native, teso a sperimentare le straordinarie possibilità di relazione, espressione e riflessione offerte dalla pratica teatrale che permette a persone di diverse culture di parlarsi e ascoltarsi. Un percorso che nel tempo ha portato alla creazione di vari progetti e spettacoli: da “La Città di Antigone” a “La terra desolata”, da “Aide. Canti migranti” a “Il rifugio della sabbia”.

Chi scrive ha incontrato per lavoro questo percorso circa sei anni fa, ancora prima che il cosiddetto ‘teatro sociale’ si imponesse sulla scena nazionale.

Per Andreina Garella e Alida Guatri, rispettivamente Festina Lente Teatro e Vagamonde, con le quali conversiamo, però, ci tengono subito a sottolinearlo, è semplicemente teatro. «Un teatro che racconta la contemporaneità – afferma Andreina, che da anni conduce un progetto rivolto a persone con fragilità e disagio psichico, in collaborazione con il Dipartimento di Salute Mentale di Reggio Emilia – che sceglie di lavorare con persone ‘fragili’ attraverso una poetica personale alla ricerca frenetica di poesia e non di esecuzione. Quella poesia che si trova nel corpo e nelle visioni di un matto, come in quello di una donna migrante, e dal quale nasce il teatro».

Un teatro fondato sui principi di inclusività sociale e culturale che cerca la comunità e sperimenta l’incontro, che indaga temi quali il diritto alla libertà di movimento e la ricerca di felicità, il diritto alla bellezza, le diverse forme di discriminazione ed esclusione sociale, i diritti sanciti e quelli negati, la violenza di genere, l’idea di città e di cittadinanza, le diseguaglianze e le emarginazioni, la cultura del cibo. Nel dare voce ai racconti delle donne, il teatro si fa portatore di pari opportunità, permette di confrontarsi con la propria condizione di sradicamento, per capire, accogliere e fare da guida nell’individuare strade possibili.

«Lavorare con queste persone significa lavorare con un’umanità e per un’idea di umanità – continua Andreina – È un atlante carico di storie. Come nel lavoro con gli attori ci sono tecniche da acquisire a cominciare dall’uso del corpo e della voce, per poter esprimersi meglio, avere una presenza più incisiva. Poi, si aggiunge la capacità di entrare in relazione, valorizzare al meglio i talenti nascosti e ciò che possono offrire. Il gioco del teatro, la ripetizione, le sue regole, la precisione del gesto sono fondamentali per arrivare al risultato finale. Ecco allora che la fragilità di quei corpi si trasforma in forza e diventa la vera energia del gruppo».

È un teatro di persone quello che Festina Lente Teatro e Vagamonde portano avanti ed esplorano, un teatro di relazioni, di osservazione e ascolto della realtà e, inevitabilmente, dei suoi cambiamenti sociali. Ascolto, incontro, scambio: sono le parole che Alida usa per descrivere una pratica teatrale che ha saputo costruire legami, amicizie, un gruppo.

È un teatro che guarda negli occhi, che vuole azzerare la distanza tra chi fa e chi guarda (uno dei prossimi lavori si intitola proprio “A minore distanza”), tra la realtà e la capacità di comprenderla, che vuole abbattere quei piccoli muri quotidiani eretti nelle nostre menti, rendendo possibile sulla scena, che diventa così il migliore dei mondi possibili, ciò che fuori da essa sembra ancora molto complesso da realizzare. In un momento storico in cui si fanno leggi per la sicurezza dimenticando la dignità e la libertà dell’essere umano, questo fare teatro sceglie da che parte stare, prende una posizione.

La scena è popolata da un’umanità fragile, imperfetta, che inciampa negli ostacoli quotidiani della vita e fa fatica a rialzarsi, che cerca riparo e ‘approdo’ altrove incontrando, a sua volta, altri tipi di difficoltà. Alla base, per tutti, sta il diritto di migliorare la propria vita.

Da una parte un gruppo eterogeneo per età, culture, lingue, professioni e dall’altra un pubblico meticcio (così ancora difficile da costruire nel teatro istituzionale) che assiste sempre numeroso agli spettacoli ambientati in contesti anche prestigiosi, segno di un bisogno diffuso di superare le differenze culturali, senza cancellarle, per favorire relazioni nuove. Il teatro può, in questo, essere uno strumento privilegiato di integrazione sociale, il luogo dove poesia, parole ed emozioni si intrecciano e si sovrappongono, creando un tessuto di emozioni e di sapienza.

La drammaturgia nasce da un lavoro sulle parole, sui testi, su temi precisi quali l’esilio, la libertà di migrare, le promesse disattese ma in questi ultimi anni sono stati rimessi in gioco i temi dei diritti, del razzismo, delle discriminazioni, soprattutto di quello che accade quando il migrante arriva in un luogo, trasformando se stesso nel viaggio e nell’approdo.

Lavorare sulle persone nel superamento degli stereotipi e delle generalizzazioni. Fare teatro come esercizio di cittadinanza, di fiducia di corpi nel microcosmo. Per fare questo il linguaggio usato deve essere compreso da tutti per andare oltre la propria lingua, oltre la propria cultura. Per andare oltre.

Da “Voci invisibili” alla Galleria d’Arte Niccoli, agli spettacoli pensati per il Museo Guatelli di Ozzano Taro o il Museo Etnografico Cinese di Parma, il teatro, fuori dai teatri, ha incontrato altri luoghi, ha esplorato gli spazi urbani – prossimamente in tre spazi d’arte del centro storico della città, nell’ambito di Quadrilegio – Parma 2020, il teatro si incontrerà con l’arte contemporanea nel segno dell’inclusività – è diventato occasione per raccontare la città da altri occhi, altri sguardi, altre lingue, altre memorie.http://Il teatro responsabile di Festina Lente e Vagamonde di Raffaella Ilari

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