Lavagetto, alcuni titoli di un maestro della conoscenza per errore di Raffaele Manica

 

ADDII. Da Saba a Svevo, da Calvino al mito di Pinocchio, all’amore per Proust. L’uso di Freud è un tratto ermeneutico appuntito, senza nessuna parentela con il freudismo in voga in tanti studi letterari di quegli stessi anni

Quanto contano i titoli per rendere interessante un saggio ancor prima di aprirlo? Nel titolare i suoi libri Mario Lavagetto è stato un maestro: ogni titolo della sua opera imponente per mole e rilievo è un invito a entrare in pagine dove l’accuratezza delle analisi è un percorso verso luoghi appartati, seminascosti e fino allora occultati.

Si può forse dire che nei suoi titoli si vede in opera la lezione del suo maestro all’università di Roma, Giacomo Debenedetti, dal quale Lavagetto deriverà altre indicazioni decisive; o meglio: Debenedetti sarà il tramite perché spunti o passioni diventino in Lavagetto direzioni di studi destinati a durare per tutta la vita.

L’INTERESSE per il melodramma sarà consegnato a due volumi del 1979, Un caso di censura. Il Rigoletto e Quei più modesti romanzi, dedicato ai libretti di Verdi nel loro rapporto con la musica, ovvero superandone la presunta autonomia letteraria e interpretandoli nel rapporto dialettico con la partitura, nei confronti della quale si presentano come un punto di resistenza.

All’uscita di questi libri, Lavagetto ne ha già alle spalle altri due, con i quali ha messo in nuova luce due autori «debenedettiani»: La gallina di Saba (1974) e L’impiegato Schmitz e altri saggi su Svevo (1976).

IN ENTRAMBI l’indagine muove da strumenti freudiani, e l’originalità di Lavagetto si mostra subito: l’uso di Freud è un tratto ermeneutico appuntito, senza nessuna parentela con il freudismo in voga in tanti studi letterari che in quegli anni presumono di servirsi della psicoanalisi. Quasi fosse una dichiarazione di poetica critica, l’idea del libro su Saba partiva dall’affermazione di un maestro degli studi filologici: era stato Contini ad affermare che «Saba nasceva psicoanalitico prima della psicoanalisi, era un soggetto di critique psychanalitique»; e Lavagetto muoveva da un’istanza filologica, ovvero dal significato che assumevano le forme testuali adottate nel corso del tempo dal poeta: «L’opera di restauro, che Saba si accinge a compiere nel 1921, può essere valutata correttamente solo se non perdiamo di vista il suo progetto di organizzazione». vale a dire: il rigore nell’adesione alla testualità non può mai, nemmeno momentaneamente, essere minimizzato dall’ermeneutica che su di esso si pratica e si compie.

FATTO MENO OVVIO di quanto non possa sembrare a chi abbia presente lo stato delle cose negli anni settanta. Il libro su Svevo, dedicato a ricostruire la triangolazione tra l’impiegato Schmitz (cioè Svevo all’anagrafe), Svevo come autore e la scrittura, darà poi altri frutti in un’inesausta attività segnata dalla costruzione del volume intitolato semplicemente Zeno (1987) nel quale, oltre al capolavoro che è La coscienza vengono raccolte anche le «continuazioni»: frammenti, racconti, pagine autobiografiche, saggi che ruotano intorno a Zeno e permettono di scrutarlo da una molteplicità di punti di vista e da diversi tempi.

Questa idea critica avrà seguito nella direzione dell’edizione commentata dei Romanzi (1993) e poi delle Opere, in tre Meridiani (2004). Un titolo eccellente per dire del metodo (definizione imperfetta e difettosa) di Lavagetto è Lavorare con piccoli indizi (2003).

Non solo perché l’autore vi dichiara i suoi procedimenti conoscitivi (tracce, microscopie, grandi

macchine), ma perché è un libro paradigma nel quale si vedono quasi tutte le direzioni del lavoro, dal punto di vista sia degli strumenti utilizzati sia degli argomenti messi a oggetto: Freud, il melodramma, Svevo ancora. Ma anche Pinocchio che dà modo di ricordare come Lavagetto sia stato un conoscitore, fra l’altro, «di cose che non possono essere accadute e che per molti aspetti sono in irreparabile contrasto con la verosimiglianza», come testimonia la raccolta di Racconti di orchi, di fate e di streghe (2008); e che anche consente di sottolineare come, per diretta e indiretta via, al mito di Pinocchio sia dedicato il volume che reca in sottotitolo «sulla bugia in letteratura», La cicatrice di Montaigne (1992 e 2002).

SEMPRE in Lavorare con piccoli indizi, due nomi consentono di ricordare l’attività non secondaria di «francesista»: Stendhal (del quale fu anche traduttore) e Proust, ancora consegnatogli, in quella che piace immaginare come una staffetta ideale, da Debenedetti. All’autore della Recherche sono dedicati Stanza 43. Un lapsus di Marcel Proust (1991) e Quel Marcel! Frammenti dalla biografia di Proust (2011), un libro, esordiva Lavagetto, che «è tutto meno che una biografia anche se non si preclude la disponibilità di servirsi della biografia o, meglio ancora, di frammenti biografici utilizzati liberamente come strumenti di lettura», secondo un suggerimento di William Empson: altro che «morte dell’autore».

Direttamente dedicato a Freud è un libro tra i più rilevanti per rilievo storico e teorico, Freud. La letteratura e altro (1985 e 2001), che prende le mosse dall’infatuazione di Freud per la cocaina (consigliata a tutti, a rischio di diventare inconsapevolmente «un pericolo pubblico») e lancia la propria rete sui terreni dell’ambiguo e dell’enigma.

DA QUI almeno due volumi sui quali Lavagetto ha lasciato il proprio segno con cura e con corposi saggi introduttivi: Palinsesti freudiani. Arte letteratura e linguaggio nei Verbali della società psicoanalitica di Vienna 1906-1918, del 1998, e i Racconti analitici di Freud, del 2011. E pure freudiano può considerarsi la «storia di una lettura» che è La macchina dell’errore (1996): «molti dei dettagli che compongono questo libro sono noti da tempo e potrei dire che ad appartenermi completamente è solo la loro combinazione»: un libro sull’«energia dell’errore» dove, alla maniera di Šklovskij (e forse di Barthes) il risultato è fortemente dissimile dal progetto iniziale, e in questo risiede il suo interesse teorico: conoscenza per errore e per deviazioni.

Infine, non minori, due piccoli libri di piccola mole e di grande spessore: Dovuto a Calvino (2001), attraverso cui Lavagetto si pone alcune domande «generazionali» e capitali, e Eutanasia della critica (2005), una petizione a dare ascolto alla complessità della letteratura, perché la complessità è ricchezza (lo dimostra, in exitu, anche l’ultimo tassello della sua operosità, Oltre le usate leggi, sul Decameron).

(pubblicato su: il manifesto, 01.12.2020)

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