Risposta alla lettera di William Gambetta a parma.repubblica.it di Giancarlo Bocchi

 

Pubblichiamo volentieri la risposta di Giancarlo Bocchi alla lettera aperta di William Gambetta, circa la morte di Guido Picelli, uscita su parma.repubblica.it del 7 gennaio.

La nostra rivista è contro a qualsiasi forma di censura e crede che si debba sempre ricercare la verità, anche se questa va contro le incrostazioni storiche o le logiche politiche settarie”.

Nella foto dell’Archivio del Comintern (RGASPI 545-5-90-70) Il battaglione Garibaldi nella caserma del Pardo a Madrid. Si riconosce, di spalle vicino al tavolo, il comandante Randolfo Pacciardi. Tra le due finestre (da sinistra verso destra) ci sono il socialista Amedeo Azzi (Commissario politico del battaglione e Ardito del Popolo a Parma nel 1922), Guido Picelli e a fianco, rivolto verso la finestra, Andrè Marty, Commissario politico della XII Brigata, stalinista di ferro, definito da Ernest Hemingway “il fucilatore di Albacete”.

 

RISPOSTA ALLA LETTERA APERTA DI WILLIAM GAMBETTA   A PARMA.REPUBBLICA.IT  DI GIANCARLO BOCCHI

 

William Gambetta,

nella sua lettera aperta a parma.repubblica.it del 7 gennaio scorso mi accusa di “annoverare tra gli assassini (di Guido Picelli) politici dello stalinismo.”

Nel mio film “Il Ribelle” o nei miei libri, ho raccontato dei fatti lasciando ai lettori e agli spettatori di farsi liberamente una opinione su alcuni accadimenti, come dovrebbe fare qualsiasi storico che non sia ideologico, ovvero che non abbia una “verità” rivelata per appartenenza politica o che non abbia abbracciato mortalmente nel passato delle tesi che non può più rinnegare.

Aggiunge nella sua lettera, “Le fonti documentarie conosciute dalla comunità di studiosi mi fa credere che [Picelli] sia morto in combattimento contro le truppe franchiste senza particolari misteri, senza sicari stalinisti.”

Lei non ha letto e non conosce i miei scritti. I misteri sono tanti. Anche se non ho mai estratto una “pistola fumante” dai fatti ho però smontato, anche nell’ultimo articolo pubblicato su parma.repubblica.it, la versione divenuta poi ufficiale sulla morte di Guido Picelli, divulgata per primo da Pietro Pavanin affiliato al NKVD (la polizia segreta di Stalin).

Una versione alla quale ha creduto la sua “comunità di studiosi” in modo acritico e senza fare ricerche per decenni.

Ad esempio nel documento segreto del 5 febbraio 1939 (Rgaspi 495-221-1245-17) stilato su tre pagine dall’eminente esponente dell’ufficio quadri del Comintern Georgi P. Damjanov detto “Belov”, superiore di Pavanin, è scritto, “Picelli è caduto colpito da una pallottola sparata da cecchino fascista in fuga”. Una versione diversa da quella “ufficiale”.

Lei mi dirà che questo documento, che comunque contiene un errore di datazione, conferma la tesi che Picelli sia stato ucciso dai fascisti. A un’analisi più accurata, questo documento politico, e non poliziesco, smonta invece la versione ufficiale secondo cui Picelli venne ucciso da una sventagliata di mitragliatrice nemica, mentre sistemava una mitragliatrice della sua compagnia.

Un cecchino non è certo una “mitragliatrice”. È un dettaglio non trascurabile, in quanto si sta parlando di documenti ufficiali e segreti, stilati con l’aiuto di Antonio Roasio, presente ai fatti. Inoltre “Belov”, personaggio oscuro e controverso, era all’epoca dell’uccisione di Picelli nello Stato maggiore della XII Brigata internazionale, ovvero era un superiore di Pavanin.

Qualsiasi storico, a questo punto, si farebbe una domanda: perché dare una versione ufficiale non veritiera per poi smentirla nei documenti segreti? Qualche maligno potrebbe ipotizzare che l’Ufficio quadri del Comintern volesse nel 1939 smontare segretamente la versione eroica della “mitragliatrice” per impedire che Guido Picelli venisse insignito dell’ “Ordine di Lenin”, la più prestigiosa onorificenza sovietica, che era stata proposta da due alti ufficiali delle Brigate Internazionali? In un altro documento del 21 giugno 1938 (R Gaspi 495-221-1245-19), che doveva anche questo rimanere segreto, Antonio Roasio, dell’Ufficio quadri del Comintern e Commissario politico del Battaglione Garibaldi, accusava Guido Picelli, o almeno la sua memoria perché era già deceduto, di aver incontrato a Parigi i trotskisti “Masi” (Michele Donati) e Mariani, di aver abbandonando il Partito giungendo a Barcellona con l’aiuto del POUM (per il Comintern traditori trotskisti e antistalinisti). Sarebbe bastato questo fatto, senza parlare di “mitragliatrici” o di un “cecchino” per bloccare il conferimento di qualsiasi onorificenza, come in realtà è avvenuto.

Il rapporto di Roasio, unitamente alle persecuzioni subite da Picelli in URSS per quasi due anni, per uno storico avveduto non potrebbero invece essere “il movente” per l’uccisione di Picelli? Non bisogna dimenticare che il generale Leiba Lazarevich Feldbin alias “Alexander Orlov”, colui che arruolò e addestrò Ramón Mercader, l’assassino di Leone Trotsky, ordinò in Spagna l’eliminazione di più 500 tra poumisti e anarchici tra i quali Andreu Nin, il capo del POUM ex segretario di Trotski a Mosca. Cosa pensassero del POUM i dirigenti stalinisti della XII brigata Garibaldi si può leggere in un significativo e inedito documento (R. Gaspi 545.1.73 p.193-202), “Questo capolavoro dell’Ovra e della Gestapo, tremendo pugnale ai fianchi della Repubblica spagnola, creato apparentemente dai trotskisti spagnoli, si trasformò, fin dai primi giorni della ribellione, nel più potente sostenitore del fascismo internazionale.”

C’è però da dire, ad altissima voce, che quanto sostenevano gli stalinisti del POUM non erano che calunniose affermazioni tipiche della manipolazione e della disinformazione. Il POUM non era un partito di traditori e di trotskisti, bensì di valorosi combattenti che si opponevamo sia al franchismo che al totalitarismo stalinista.

Ma in questo contesto, creato ad arte dagli stalinisti, era tollerabile, per alcuni membri dell’Ufficio quadri del Comintern e dell’NKVD, che un “trotskista”, come Alexei Eisner dello Stato Maggiore degli Internazionali aveva definito Picelli, scalasse per la sua competenza militare e il suo coraggio i vertici delle Brigate Internazionali? Era tollerabile per uno dell’Ufficio quadri del Comintern, come Roasio, che aveva messo la sua firma garantendo l’uscita dall’URSS, che Picelli arrivato a Parigi avesse ignorato i suoi ordini, avesse abbandonato il Partito per unirsi al POUM, ma se lo fosse ritrovato dopo qualche settimana al comando del battaglione Garibaldi del quale era il Commissario politico?

Devo aggiungere che Picelli non era trotskista, come era stato malevolmente etichettato.

Anche per questo ho fatto ricerche molto accurate a Mosca sull’ ”Ordine di Lenin”, su questa onorificenza che era stata proposta per Picelli, anche scorrendo fortunosamente gli elenchi supersegreti all’Archivio di Stato di Mosca perché lo ritenevo un segnale, un elemento non solo simbolico che avrebbe potuto svelare, come in realtà è accaduto, che la parte militare (Brigate Internazionali, Armata Rossa) era in molti casi all’oscuro di quanto combinasse la parte segreta (ufficio quadri del Comintern, OSS e NKVD). E non solo questo.

Se Picelli fosse stato decorato con “L’Ordine di Lenin”, le persecuzioni subite a Mosca, l’abbandono del partito a Parigi, la breve affiliazione al POUM e la sua stessa uccisione sarebbero state da valutare diversamente.

Tornando però alla versione del Comintern sull’uccisione di Picelli, che smentisce nelle modalità quella ufficiale rilasciata da Pavanin e da altri, c’è da porsi qualche domanda.

Perché Picelli, stranamente colpito alle spalle anche se avanzava verso il nemico, “da una pallottola sparata da cecchino fascista in fuga“ non fu subito soccorso e venne abbandonato ferito sul posto fino all’alba del giorno dopo?

Conoscendo bene i luoghi, El Matoral e il S. Cristobal, mi sono posto una seconda domanda: come ha fatto il “cecchino fascista” a fuggire, senza la protezione della vegetazione, allo scoperto, verso la scarpata molto scoscesa e spoglia del S. Cristobal, senza essere colpito dai compagni di Picelli o dai garibaldini della III compagnia di Ferrari appostata sul lato opposto?

Vede, caro Gambetta, come le sue certezze, esaminati i fatti raccontati nei documenti, siano molto fallaci.

Se lei è così sicuro che Picelli fu ucciso dai franchisti o dai fascisti perché non porta le prove di quello che dice?

Non dovrebbe essere così difficile trovare qualche rapporto o l’assegnazione di qualche onorificenza all’autore dell’uccisione di Guido Picelli, un personaggio così importante dell’antifascismo internazionale.

Non sarebbe difficile trovare, se esistesse, un documento di questo tipo: gli archivi moscoviti sono di nuovo chiusi ma quelli franchisti sono aperti.

Al contrario di lei, durante le ricerche per il “Il Ribelle”, ho cercato le prove che fossero stati i franchisti o i fascisti a uccidere Picelli nell’Archivio dei Servizi Segreti franchisti ad Avila, e in altri archivi della Guerra di Spagna, a Salamanca, a Madrid.

Non ho trovato nulla. Anzi qualcosa ho trovato nelle veline dell’OVRA fascista, dove si accusavano “i rossi” di aver ucciso Picelli. Ma ho sempre ritenuto, al contrario di certi suoi colleghi di Parma, che quelle notizie fossero inattendibili anche perché so come sono nate.

E proprio per questo non le ho mai citate.

Anche la sua affermazione “che non esiste un solo storico che affermi che Picelli è morto per mano di agenti stalinisti“, oltre a ricordale la arretratezza degli studi su Picelli fino al decennio scorso, forse derivata dal fatto che lei ha pubblicato di recente il libro “La mia divisa”, con scritti di Picelli già pubblicati da tutti e senza alcun inedito? Per aver pubblicato quel libro pensa di essere un esperto della vita di Guido Picelli?

Se volesse veramente esserlo dovrebbe andare per mesi o per anni a fare ricerche negli Archivi del Comintern, dell’Armata Rossa, del Mrpo (Soccorso Rosso), delle Brigate Internazionali (e non certo sui fascicoli “depurati” che sono stati dati in copia all’ Istituto Gramsci di Roma) e negli archivi spagnoli e francesi.

L’avverto però che in Russia si può ricostruire la storia di quegli anni – non solo quella di Picelli – solo dai frammenti lasciati inavvertitamente dai censori. Una parte delle vicende più delicate del Novecento è nascosta nei messaggi in codice dell’OSS (il servizio segreto del Comintern) e dell’NKVD. Ma gli attuali responsabili dell’SVR, il successore dell’NKVD e del KGB, nelle Commissioni di de-segretazione dei documenti, anno dopo anno, si rifiutano di fornire le chiavi dei codici agli archivisti del RGASPI, l’archivio del Comintern.

Non voglio però farle la lezioncina come ha cercato in modo improvvido di fare a me circa il fatto che bisogna pubblicare i documenti con le segnature bibliografiche. Vorrei solo ricordarle che nel mio film e nei libri ho riprodotto fotograficamente i documenti e ho indicato i riferimenti archivistici (ne “Il Ribelle” a causa dei tanti archivi che ho dovuto citare c’era un rullo finale interminabile che la RAI ha tentato più volte di tagliare …).

Dovrebbe invece sapere che i giornali quotidiani e le riviste periodiche non specialistiche non accettano che vengano inserite le indicazioni archivistiche. Non lo sapeva?

Quanto alle fonti orali so bene che sono delicate. Però a volte sono molto importanti per capire quello che è avvenuto e cercare le relative prove. Se qualcuno mi dice che “Picelli è caduto a 50 centimetri da me colpito alla testa” e capisco che non mi sta dicendo la verità, mi chiedo quello che lei nella sua lettera non si è chiesto: perché riguardo la morte di Picelli c’è stato bisogno di raccontare in passato una caterva di falsità?

E nell’articolo su parma.repubblica.it non le ho mai messo in bocca cose non vere. Ho citato una sua conferenza al cinema Edison di Parma, avvenuta nella primavera del 2007, dove lei ha sostenuto la tesi che Picelli fosse stato emarginato in URSS in quanto sostenitore del “Fronte Unico” che in quel momento era avversato dai fautori nel Comintern della politica contro il “socialfascismo”. Vuol forse smentire le sue parole?

Prima del convegno, l’avevo anche avvertita di non forzare una tesi sulla base di documenti incompleti e mal tradotti. Ma alla luce dei fatti e dei documenti che trovai in Russia, successivamente, pubblicati nel mio film e nei miei libri, lei fece a miei occhi una figuraccia.

Anche per questo motivo quello che lei chiama “consulenza storica“ per il mio film “Il Ribelle”, quando mi sono accorto dei suoi limiti di conoscenza agli avvenimenti locali, è stata solo un’iniziale cronologia degli eventi che per altro non ho utilizzato.

Sono stato molto contento della mia decisione quando ho visto che lei ha successivamente collaborato a pubblicazioni revisioniste, finanziate dalla giunta Vignali di centro destra, che volevano far passare Parma per una città fascista. E mi ha confortato il fatto di non averle dato l’incarico di consulente de “Il Ribelle, quando ho saputo dalla stimata storica Elena Dundovich che c’era qualcuno, una persona che forse lei ben conosce e con il quale ha lavorato, un figuro finanziato dalla giunta Vignali, che gli aveva raccontato cose non vere su Guido Picelli nell’intento di farle scrivere un saggio denigratorio. Forse ricorderà che annunciai di aver smontato questo complotto ignobile rivelando i fatti a parma.repubblica.it dell’inverno del 2017.

Sorvolo su altri fatti, per ritornarci magari in futuro, come certe sue deprecabili asserzioni circa i partigiani gappisti.

Per i miei impegni e i miei interessi documentaristici internazionali, non solo storici, molti dei documenti ancora inediti del mio archivio verranno tradotti e studiati quando avrò tempo, solo in occasioni di determinati eventi o per confutare tesi di persistente e ottusa “storia ideologica”.

Quali siano state le modalità dell’uccisione di Guido Picelli, la sua figura di strenuo combattente contro ogni totalitarismo per la libertà e per la giustizia sociale rimane luminosa, indiscussa e le azioni segrete e le criminali azioni degli agenti e dei sicari stalinisti in Spagna non offuscano il valore e il coraggio delle migliaia di coraggiosi volontari internazionali che giunsero da tutto il mondo per opporsi ai franchisti, fascisti e i nazisti.

Spero sinceramente che l’attuale giunta di Parma non organizzi nulla per il Centenario delle Barricate, non solo perché se ne deve andare ad aprile e si arrogherebbero un compito dei successori, ma anche per il livello culturale ed etico che possiedono gli attuali governanti – ricordo solo che il sindaco Pizzarotti ha avuto l’ardire, perdendo per sempre la faccia, almeno ai miei occhi, di far ruotare di 180 gradi per scopi ludici il monumento di un eroe popolare come Picelli. Costoro non potrebbero che commissionare una caccia al tesoro suoi luoghi delle barricate o mettere sagome fotografiche di Picelli e degli Arditi del popolo sparse per le strade.

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