INTERVENTO DI MARIO AGOSTINELLI, Associazione Laudato Sì
Ringrazio per l’invito, con un particolare apprezzamento per la relazione, gli interventi programmati, puntuali e chiarificatori di una ispirazione condivisibile, nonché per il quadro generale che si è delineato senza incertezze. Molte delle mie eventuali riflessioni sono già state prese in considerazione e ciò mi esime dal riprenderle per concentrarmi su pochi punti che ritengo peculiari per l’interesse di un sindacato autonomo e ispirato a criteri di giustizia sociale. Criteri associati – nel tempo attuale e come prefigura l’andamento dell’odierna discussione – ai principi dell’ecologia integrale.
Innanzitutto, l’insistenza su nettezza e urgenza di una transizione energetica giusta va recuperata all’interno della CGIL come bussola identitaria dell’intera politica di riconversione che il mondo del lavoro si trova ad affrontare. La forma nuova di un negazionismo che si invera in un rapporto perverso tra grandi poteri e strati popolari della società, tocca anche un Paese come l’Italia in cui il dibattito pubblico è distratto da un presentismo accanito, per cui la notizia dell’oggi è spostata da quella del domani in un continuo rimando delle emergenze incombenti. Guerra – con sullo sfondo la minaccia nucleare – clima e ingiustizia si intrecciano e mettono in discussione per la prima volta nella storia le possibilità della sopravvivenza umana. Scoprire e mantenere una identità marcata proiettata oltre la contingenza e che distingua il sindacato anche quando la crisi tocca il posto di lavoro non è né agevole né facile. Eppure, il coinvolgimento e l’attenzione per le sorti della biosfera dovrebbe attirare gli interessi dei lavoratori in una lunga e duratura proiezione nel tempo, ben oltre le esasperate attenzioni correnti verso una geopolitica che presiede a giochi di potere da cui sono esclusi i governati nel mondo globalizzato.
Proprio questo passaggio dalla geopolitica alla biosfera dovrebbe caratterizzare il nostro tempo, anche quando è contrastato da una torsione a destra dell’intero apparato di comando di un Occidente e di un’Europa in affanno. Occorre infatti prendere in considerazione quanto la valorizzazione e conservazione della natura stiano a cuore delle popolazioni soprattutto a livello locale, ma non si riescano a tradurre in linee di governo rivolte alla conservazione dell’ambiente, percepito come un bene comune inalienabile ed una risorsa sociale, in particolare a livello locale. Bene ha fatto Simona Fabiani ad iniziare la propria relazione introduttiva citando i dati disastrosi dei limiti planetari infranti, che si traducono in calamità climatiche mai sperimentate nel passato. Muove da queste considerazioni ampiamente sottovalutate se non inabissate dalla violenza della narrazione trumpiana – e più banalmente e ambiguamente imitate dalla nostra compagine di governo – la necessità di portare alla ribalta della CGIL una alternativa alle politiche energetiche fossili e nucleari con conseguenti scelte che ad esse si riconducono, dal livello locale a quello nazionale, fino a quello UE e globale. Per la mia esperienza, la vicenda della riconversione dal carbone all’eolico di Civitavecchia ha un valore esemplare per un coinvolgimento dal basso che è partito dai Comitati di cittadini e dalla Camera del Lavoro comprensoriale, che ha coinvolto ed indirizzato le istituzioni su un percorso alternativo alla pratica fossile sbandierata a partire dall’Unione Industriali, fino alle direzioni delle aziende energetiche nazionali con i loro insediamenti nel territorio.
In secondo luogo, mi preme contestualizzare le considerazioni di questo Forum al tempo della “tempesta Trump” che si abbatte disorientandoci non solo con modalità inusitate, ma con un carico di “soverchie smargiassate” come direbbe il Dostoevskij di “Memorie del sottosuolo”. Per quanto riguarda i temi dell’energia l’insediamento di Donald Trump negli Usa segna un marcato ritorno a politiche pro-fonti fossili e contro le rinnovabili, con una strategia che integra il protezionismo e la deriva conservatrice di cui l’intera compagine di governo si fa portatrice in una svolta dal carattere strategico. Intanto l’Ue sta assistendo passivamente ad un tentativo di revisione del Green Deal da parte innanzitutto delle destre, ma anche del Partito Popolare europeo della presidente Ursula Von der Layen, mentre da noi Pichetto Fratin agita il nucleare per rimuovere vento e sole dall’orizzonte di consenso conquistati nell’opinione pubblica. La linea del presidente USA non va confusa con una velleità inconcludente: al fondo c’è la competizione con la Cina e il “momento Ford” che si sta profilando ad opera di quest’ultima in un paesaggio mondiale. Scrivo “modello Ford” perché si sta verificando, su impulso del gigante asiatico, una transizione verso un modello di sviluppo in affermazione, indicato in Occidente dalla comparsa inaspettata di DeepSeek, ma più in profondo e sistematicamente simboleggiato da un cambiamento strutturale nel capitalismo mondiale centrato sugli Stati Uniti. Il socialismo di mercato cinese punta su una formazione sociale in piena ascesa verso un centro economico mondiale cui gli USA rispondono con iniziative di contenimento – tipiche della Guerra Mondiale Ibrida in corso – che hanno come focus principale (o rivale sistemico) non tanto la Cina secondo i canoni di potenza.ma la Cina come risposta alla crisi epocale attraverso le due tecnologie decisiv: l’intelligenza artificiale e le filiere delle rinnovabili. Questa partita aperta ci interessa da vicino. Si stanno infatti forgiando grandi innovazioni organizzative e tecnologiche, sia economiche che politiche, che nella loro forma più avanzata potrebbero portare ad una nuova egemonia. E’ in crisi, a mio parere, il modello americano e Trump se ne è fatto interprete sovvertendo gli stessi princìpi democratici con cui gli Stati Uniti si palesavano all’esterno. Al fondo, Trump vorrebbe contrastare la democratizzazione tecnologica in atto in Asia come rivoluzione tecno-produttiva che contiene una grande economia di mercato, con una pianificazione strategica statale a un nuovo livello e grandi conglomerati pubblici in cui il mondo del lavoro assume un protagonismo e un livello di competenze diffuso e non più elitario e accentrato. Ci deve interessare questo processo e dovrebbe riguardare anche la riconversione del progetto UE di cui siamo parte, per distoglierci dal seguire passivamente la deriva del modello occidentale sempre più aggressivo (i dazi!) ma meno includente. Di certo non sarà risolutiva per oscurare la progressione di questo “modello Ford” la revisione del Green Deal in senso conservatore o l’annunciato allentamento nel Green Industrial ACT dei vincoli ambientali per le aziende europee o l’inclusione in tassonomia del nucleare e del sequestro di CO2. Penso che la CGIL debba ragionare su questa nuova dimensione dei rapporti di produzione e trarre ispirazione per i propri obbiettivi rivendicativi che pongono al centro diritti e risorse del mondo del lavoro.
Come terza valutazione, infine, vorrei andare più in là del solo superamento del criterio della neutralità tecnologica, cui sono affezionati le lobby del fossile e del nucleare, per insistere sulla necessità di accompagnare ogni opposizione con una proposta socialmente e ecologicamente desiderabile e foriera di buona occupazione e per questo può essere opportuna la riflessione appena svolta.
In effetti, avanzare il criterio d neutralità tecnologica significa abbandonarsi al mercato e agli interessi delle imprese e rifiutare una mentalità strategica che è spesso mancata proprio alla classe politica e che il sindacato deve rivendicare. Nel nostro caso si può partire dall’ampliamento del discorso dei costi dell’elettricità e delle bollette, che sembra stare tanto a cuore a questo governo. Se Trump rimane sul piano delle transazioni, dove ha già affermato che l’Europa dovrebbe acquistare più petrolio e gas dagli Stati Uniti per contenere i dazi, il governo Meloni dovrebbe non impegnarsi in questo tipo di accordi, identificando il primo passo cruciale nel non pagare care le importazioni di LNG e dei combustibili-reattori nucleari. Non è possibile che una classe politica italiana ragioni per diminuire le bollette ricorrendo a gas importato, trivellazioni in mare ed un nucleare di cui non si conosce il costo, a paragone di soluzioni che fisserebbero il costo dell’energia a 50 €/Mwh con il modello alternativo di [rinnovabili + stoccaggi] diffuso nei territori con impatti ridotti e desiderabile per le popolazioni e l’occupazione. Il decreto caro bollette va contestato non solo come mancia iniqua rispetto agli extraprofitti delle lobby fossili (si valuti che Assoutenti calcola che le tariffe del gas sono più alte del 21% rispetto allo scorso anno, con una spesa annua «più cara di 309 euro a famiglia»), ma in una prospettiva per i consumatori-produttori di rinnovabili che, se passasse il nucleare, pagherebbero in futuro costi ed oneri ben più pesanti perfino dei fossili oggi in uso. Infatti, il costo del nucleare dei piccoli reattori nucleari (SMR) di Pichetto Fratin è stimato tra i 170 e i 250 €/Mwh, mentre già ora il nostro Paese paga il peso del gas nel mix energetico ed è al primo posto della classifica europea per numero di ore in cui è proprio il gas a fissare un prezzo più elevato rispetto ad eolico e solare e, conseguentemente, rimane nel podio di chi paga l’energia più cara in Europa.
Anche in previsione di una corsa all’elettricità per alimentare la crescente domanda di Intelligenza artificiale e data center, una classe politica che vuole il nucleare per ragioni ideologiche, deve conoscere non solo il costo elevatissimo del MWh degli auspicati SMR, ma il vantaggio del modello alternativo che si può rifare alle comunità energetiche, alla democrazia decentrata anziché alla militarizzazione del territorio, alla ricerca scientifica verso tecnologie sostenibili in piena espansione e armonia con la natura. La sfida sarà poi quella di integrare ulteriormente i mercati per avere una fornitura costante e conveniente in tutta l’Unione e ci si può preparare lavorando in ambito UE, non sulla spinta delle Big Tech della Silicon Valley ammaliate da Trump.
In questa prospettiva il rifiuto del nucleare, che mantiene tutta la sua valenza negativa sul piano della prospettiva democratica e ambientale, assume una credibilità adeguata alla partita, così come all’epoca dei referendum l’alternativa del gas aveva assunto il valore di alternativa. E diventa più convincente contestare gli SMR che non sono testati, non sono in produzione e non potrebbero portare una “misurata” energia aggiuntiva in futuro. La realtà è che gli impianti di pompaggio, quelli solari e geotermici e gli stoccaggi a batteria o idrogeno verde vengono costruiti a un costo inferiore e più velocemente persino dei progetti SMR più ottimistici, mentre la crisi climatica richiede la sostituzione immediata dei fossili con le rinnovabili. Oggi sono disponibili opzioni di energia pulita e conveniente per le grandi aziende tecnologiche e per ulteriori esigenze di elettricità. Le utility, gli sviluppatori e i grandi utenti di energia devono concentrarsi su questo e smettere di scommettere su tecnologie nucleari costose e non comprovate, che non genereranno quantità significative di energia per gli anni a venire.
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