IL SONNO DELLA RAGIONE GENERA MOSTRI a cura di Roberto Fieschi

 

Ho insegnato fisica fino ai 75 anni, ossia fino a 22 anni fa. Per me e per i miei colleghi l’America, gli Stati Uniti d’America, erano un sogno, la Mecca. Dopo il tramonto della supremazia scientifica della Germania, indebolita dalla persecuzione nazista dei grandi scienziati tedeschi ebrei, e infine dalla sconfitta nella Seconda guerra mondiale, gradualmente gli USA si sono affermati come preminenti in tutti i settori scientifici. Ne sono testimonianza i molti Premi Nobel assegnati ai loro scienziati.

I fisici europei, nonostante spesso avessero simpatie di sinistra e, in alcuni casi – me incluso – fossero disposti a passare un velo sopra i crimini di Stalin e di Mao, riconoscevano questa situazione. Da parte mia, incoraggiavo i miei allievi a recarsi negli Stati Uniti con borse di studio per periodi di alcuni anni. Io stesso avrei desiderato visitarli, ma allora non mi era possibile perché ero iscritto al Partito comunista italiano; la porta si aperse dopo diversi anni, con l’attenuarsi delle tensioni internazionali.

Oggi, negli Stati Uniti assistiamo ad azioni che mettono in crisi questa impostazione; più in generale, è in pericolo la preminenza della razionalità sulle fantasie antiscientifiche sostenute anche dalle grossolane interpretazioni della Bibbia da parte delle dilaganti sette Cristiane Protestanti che sostengono Trump.

Per arrivare a tanto non è stata necessaria una nuova guerra. Constatiamo amaramente che sono state sufficienti le azioni sconsiderate di un miliardario potente e arrogante.

Ricordiamo che ha rifiutato di ammettere la sconfitta in un’elezione democratica e che ha fomentato una folla che ha attaccato violentemente l’istituzione centrale della democrazia del Paese.. Questa è una persona che deride i disabili, mente programmaticamente, si vanta di molestare sessualmente le donne, minaccia i Paesi alleati.

Le Università sono luoghi dell’elaborazione del pensiero progressista e della cultura woke; lasciano i propri docenti e studenti liberi di esprimere un pensiero critico anche radicale. Quindi incarnano tutto ciò di cui l’America trumpiana desidera liberarsi.

L’offensiva contro le Università è uno dei capitoli della politica contro la scienza, accusata di essere portatrice di «ideologie radicali e divisive».

Già durante la campagna elettorale, Trump aveva manifestato l’intenzione di “silurare” «the radical left accreditors that have allowed our colleges to become dominated by Marxist maniacs and lunatics.

Nei documenti presentati dall’Amministrazione al Congresso si legge che nelle scuole bisogna togliere spazio alle «ideologie della sinistra radicale». Nei primi mesi della Presidenza inizia lo scontro con il mondo accademico. È il caso, innanzitutto, di Harvard, che si è eretta a simbolo della resistenza, a tutela della libertà accademica. L‘attacco va dallo smantellamento degli accampamenti a sostegno della Striscia di Gaza, alla messa a disposizione dei dati personali degli studenti coinvolti nelle proteste, alla cancellazione dei programmi volti a favorire diversità e inclusione, alla revisione dei criteri di ammissione del corpo studentesco e di assunzione di quello docente, anche in base alle loro posizioni politiche. Dopo essersi rifiutato di uniformarsi a molte delle richieste dell’amministrazione, l’Ateneo si è visto congelare fondi federali per un ammontare pari a 2,2 miliardi di dollari; diversi dipartimenti dell’Amministrazione hanno subito congelato 2,4 miliardi di fondi (su 9) utilizzati per finanziare circa 1.000 ricercatori impegnati in settori cruciali: medicina, biochimica, fisica, quantum computing, intelligenza artificiale. Trump ha anche minacciato la revoca del programma dedicato agli studenti di nazionalità straniera; sono circa 6.800, pari al 27% del totale degli iscritti.

Harvard, ma non solo. Il governo ha individuato almeno 60 Università da sottoporre a revisione perché accusate di non aver contrastato l’antisemitismo nelle proteste che lo scorso anno avevano infiammato gli atenei contro la guerra a Gaza e il governo israeliano di Benjamin Netanyahu. Columbia University, Cornell University, Northwestern University, Princeton University, University of Pennsylvania sono solo alcune delle Università, non piegatesi ai dictat dell’amministrazione Trump, che sono state colpite dai tagli dei fondi federali.

Il Presidente di Harward, Alan Garber, ha dichiarato che Harvard “non rinuncerà alla propria indipendenza, né rinuncerà ai propri diritti costituzionali” e che “nessun governo, indipendentemente dal partito al potere, dovrebbe dettare cosa possono insegnare le Università private”. Innegabile è il ruolo che queste Università, anche grazie alla loro apertura internazionale, hanno avuto nella costruzione della potenza tecnologica, economica, militare e culturale degli Stati Uniti. Harvard, Princeton, Stanford e le altre più prestigiose università sono state e sono tuttora un pilastro fondamentale su cui poggia la “grandezza” americana che Trump dice di voler rilanciare. Una recente classifica ha rivelato che delle 20 migliori Università del mondo, circa 15 si trovano negli Stati Uniti. Attaccare queste istituzioni equivale a distruggere una delle risorse vitali – e più difficili da sostituire – del Paese. La politica di Trump è anche economicamente avventata. Gran parte delle innovazioni che hanno reso gli Stati Uniti una potenza economica mondiale deriva dalla ricerca e dall’istruzione di alta qualità fornita dalle Università americana.

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