Tempi di virus. Xi Jinping e l’Atalanta di Antonio Pennacchi

 

Pare tempo di guerra, quando i miei zii raccontavano che in giro per Littoria non c’era più nessuno: tutti sfollati in campagna o sopra i monti Lepini, mentre nelle strade s’aggirava furtiva solo l’ombra di qualche “siacàlo”, pronto ad entrare nelle case per derubarle.

Oggi non è proprio guerra, ma siamo tutti reclusi – sfollati – dentro casa. Al calare del sole le strade si svuotano e pare davvero un pianeta abbandonato. Un libro di fantascienza. O, meglio ancora, la Latina povera e affamata degli anni cinquanta, quando la gente – di giorno – lavorava e basta, mentre la notte giustamemte dormiva. Altro che bar o movide. Chi usciva mai di sera?

Le strade adesso sembrano come allora: senza un cane o un gatto randagio e solo le macchine – che prima non c’erano – parcheggiate di fianco. Anche i lampioni in verità non sono più quelli di una volta, con la plafoniera tonda bianca sopra il centro della strada – attaccata a un cavo teso da un palazzo all’altro – che quando pioveva o c’era vento ballonzolava cigolando “cìo-cìo” e proiettava avanti e indietro, qui e là, il fascio di luce sull’asfalto bagnato. Dal mare, a quel tempo, insieme all’odore di salsedine arrivava fino in piazza di notte – lo sentivi benissimo – il rumore della burrasca a Capo Portiere.

A me però che tu adesso per legge non puoi camminare e che la polizia municipale ti ferma e denuncia marito e moglie se passeggiano davanti alla Standa, o che i parchi sono chiusi e hanno chiuso pure il lago di Fogliano – non ci puoi entrare neanche coi Papiere delle SS tedesche in tempo di guerra – a me pare autoritario e fortemente lesivo dei diritti naturali di ogni individuo. È una storia che non mi piace, come non mi piace che siano stati chiusi tutti i luoghi della democrazia, dal Parlamento ai consigli comunali. Ma che vi dice la capoccia? Questo è un colpo di Stato, neanche troppo strisciante.

Dice: “Ma no, la democrazia può funzionare benissimo con internet”.

Internet? “Ma và a cagare ti e l’internet, va’!” avrebbe detto mio zio Adelchi. Non ti sono bastati i guai che con internet hanno combinato i 5 stelle? La democrazia è “parlamento”, luogo ed azione in cui i tuoi rappresentanti si “parlano” appunto tutti assieme – sia pure con le mascherine e a un metro di distanza di sicurezza uno dall’altro – ma guardandosi in faccia, appunto tutti assieme.

E invece adesso con la scusa della sicurezza – “È per il bene vostro: ubbidite e state zitti perché c’è il coronavirus” – tutti i pieni poteri che voleva già Salvini li abbiamo dati senza fiatare a Giuseppi Conte amico di Trump. Che ne so io che con questa scusa – o un’altra simile – tu prima o poi non butti giù quel poco di democrazia e libertà che m’è rimasta e metti in piedi con un golpe uno Stato tirannico, una dittatura? Ma dittatura per dittatura io – se permetti – preferisco Xi Jinping, che presidente almeno non ci è diventato vincendo al grattaevinci.

“No!” dice mia moglie: “Adesso c’è il pericolo di contagio e ti devi fidare di chi ci governa”.

Mi debbo fidare? Certo accetto e rispetto tutte le regole che i medici, infermieri, sanitari, forze dell’ordine e vigili del fuoco – che ringrazio dal primo all’ultimo – hanno impartito. Ma da qui a fidarmi cecamente di chi ci comanda – chiunque esso sia – ce ne passa.

Che fiducia si può avere, benedetto Iddio, nelle classi dirigenti di un Paese in cui il presidente del consiglio viene sorteggiato al Bingo – “Ahò”, avevano chiesto i due compari Cric e Croc al primo che passava, “che per caso vuoi fa’ il presidente del consiglio?” e quello, lì per lì: “Ma che, dite a me?”; “Sì!”; “Fresca, se lo voglio fa’!” – lo stesso Paese in cui il presidente della Juve s’incazza perché l’Atalanta sta in Champions League avendo semplicemente vinto le partite sul campo, mentre quelli che hanno speso molto di più restano fuori sol perché le partite le hanno perse?

Dice: “E che c’entra mo’ la Juve col coronavirus?”

C’entra, centra! Perché se nessuno subito dopo gli ha mandato di corsa l’ambulanza del 118 – “Tso! Trattamento sanitario obbligatorio!” – vuol dire che c’è qualcosa che non funziona in questo Paese. “C’è del marcio in Danimarca” diceva Amleto, non avendo visto evidentemente l’Italia.

Per fortuna però c’è pure qualche segnale positivo. Ieri sera, con la strada deserta deserta, su un balcone di un sesto piano di corso Matteotti c’erano dei ragazzi di colore – poi dice “I negri” – che suonavano e cantavano a tutto volume, inondando l’intero quartiere: “Fratelli d’Italia, / l’Italia s’è desta”.

Cammino un altro po’, e arrivato a corso della Repubblica trovo sul balcone del terzo piano, sopra dove una volta c’era il bar del Corso, il figlio di Torelli – già storico sindaco Dc di Sermoneta – che con la chitarra cantava pure lui a tutta forza Battisti, mi pare, anche se di mestiere fa l’avvocato, peggio per lui.

Gli ho chiesto – dalla strada – Un mondo d’amore di Gianni Morandi. Ma non la sapeva. Allora ho provato: “Fammi Bandiera rossa”.

“Eh, ma mio padre era democristiano”.

“E vaffallippa allora va’. Bella Latina la sai?”

“No”, però ha detto che se la studia e una di queste sere me la fa. Speriamo.

Io intanto però – oltre allo sforzo ed abnegazione di medici, infermieri, eccetera eccetera – è da quei canti di “negri” e di un sermonetano sulle strade deserte di Latina, che ho ripreso un po’ di fiducia ed entusiasmo.

Certo la botta è tosta. Oltre allo stravolgimento delle nostre relazioni ed abitudini – ed oltre soprattutto alla psicosi e paura del contagio, ai sacrifici delle famiglie, al dolore dei malati ed infine ai lutti – questa epidemia sta portando al collasso la città, con i negozi e le attività che chiudono, lasciando senza lavoro tanta gente.

D’altra parte, è pure vero però che qui da noi la crisi sociale ed economica non è spuntata all’improvviso con il coronavirus. Il declino di Latina era iniziato purtroppo ed incombeva plumbeo già da un pezzo. Da quasi vent’anni vedevamo la stasi – la stagnazione generale – e mano mano chiudere senza più speranza i negozi, le librerie, gli esercizi commerciali, le attività produttive. Adesso, con il coronavirus piove sul bagnato. Ma più giù di così non potremo andare. Ti devi risollevare per forza. È la Storia stessa che insegna come ogni qual volta una catastrofe s’abbatta su un Paese o una comunità – lasciando quasi presagire di averle oramai distrutte – in quel preciso istante, nello stesso paese o comunità, comincia il cosiddetto “lussureggiamento” di tutti i caratteri genetico identitari, che finiscono per sprigionare potenziali di energia ed inventiva che nessuno si sarebbe mai aspettato d’avere. È così, in Storia, che sorgono splendidi e dirompenti i meglio periodi di renaissance, rinascimento.

Forza e coraggio, uomini e donne dell’Agro Pontino: è questo che ci aspetta. Dopo lo strazio del coronavirus – sperando che passi presto – noi ripartiremo e non ci fermerà nessuno. Sull’orme dei Padri Bonificatori giungeremo al centenario – da qui a neanche dodici anni – finalmente degni di loro. Forza Latina unita, risorgeremo più belli e più forti che pria.

P.S. – Sperando ovviamente anche in politici migliori, speriamo innanzitutto però che almeno l’Atalanta vinca la Champions League, battendo magari sul campo ai quarti la Juve. Sai come rosica l’Agnelli? Stai bene, poi, a chiamare il 118.

Latina, 15 marzo 2020

(su LatinaOggi, 16 marzo 2020)

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