L’estetica fatale della sovversione di Claudio Tognonato

 

Destini incrociati. «Santo Genet, commediante e martire» di Jean-Paul Sartre. L’incontro dell’enfant prodige dell’élite intellettuale e l’uomo dei bassifondi marchiato a vita come ladro diventa l’occasione di una filosofia radicale della libertà.

Maggio 1944, a Parigi Jean Genet e Jean-Paul Sartre fanno conoscenza. Il filosofo è al centro di un gruppo d’intellettuali, letterati e artisti impegnati nel «dare spessore umano» all’imminente dopoguerra. Ci sono tra gli altri Simone de Beauvoir, Alberto Giacometti, Maurice Merleau-Ponty, Albert Camus, Henri Matisse, Boris Vian. Durante un incontro tra di loro, Genet rimane in disparte; è un personaggio schivo, una personalità complessa, un trasgressivo che non ama la vita sociale e preferisce mantenersi ai margini della società. A presentarli è Jean Cocteau, che si è assunto l’onere di fare uscire Genet dal carcere. Secondo la magistratura dell’epoca, Jean Genet è semplicemente un delinquente. Disertore, più volte arrestato e rinchiuso per piccoli reati come furto di libri, viaggiare senza biglietto, vagabondaggio approfitta della prigione per scrivere, raccontare e raccontarsi. Diventa scrittore, un poeta maledetto che non passa inosservato nella vita intellettuale della rive gauche parigina.

GENET continua a riempire pagine ma non si rilassa, vuole affermare la sua indole sovversiva e continua a delinquere, al punto che nel ’45 il giudice lo avverte: tenendo conto delle numerose condanne che risultano dalla sua fedina penale, se dovesse incorrere in una nuova condanna superiore a tre mesi, sarebbe suscettibile dell’ergastolo. Lui rimane indifferente, assente. Le minacce, le pene, il tempo passato in prigione non mitigano il contrasto tra lui e la società. Sarà necessaria una petizione al presidente della Repubblica, firmata tra gli altri da Cocteau, Sartre, Picasso e Gide, per chiedere la grazia evitandogli così la condanna. Genet è libero, ma non ringrazia nessuno.

QUALCHE ANNO DOPO la casa editrice Gallimard decide di pubblicare le Opere complete di Genet e incarica Sartre per la prefazione. Il filosofo francese si mette al lavoro, il tempo passa e infine sono 600 pagine dattiloscritte. L’enorme manoscritto è portato per primo a Genet, che avrebbe potuto modificarlo o distruggerlo, ma non fa nulla, lascia che l’interpretazione della sua vita diventi un oggetto pubblico e con ciò consente che sia data alla stampa una delle opere più importanti di Sartre.

La prefazione si trasformerà infatti in un lavoro a sé, il Saint Genet, comédien et martyr (Santo Genet, commediante e martire, che Il Saggiatore ci propone ora in una nuova edizione introdotta da Francesco Cataluccio, pp.660, euro 44).

Sartre è affascinato da Genet e nel ’47 gli dedica il suo studio su Baudelaire. Jean Genet ricambia, stampando sulla prima pagina del suo Diario di un ladro la scritta «A Sartre e al Castoro» (cioè, Simone de Beauvoir). È l’incontro tra due uomini con origini sociali diverse. Sartre proviene dall’élite intellettuale parigina, è destinato a diventare l’enfant prodige del mondo culturale francese; Genet è un nessuno, arriva dai bassifondi, dal carcere, da una ostentata omosessualità, la marginalità lo aspetta. Sartre è attirato dalla sfida che lancia Genet contro tutti, contro se stesso e contro chi rimprovera la sua vita.

IL SAINT GENET di Sartre racconta la storia di un bambino scacciato dalla propria infanzia. Il piccolo Jean ha pochi anni, ma sa già che la sua vita non sarà facile. Abbandonato dalla madre in un orfanotrofio non può ignorare che un rifiuto ha fatto di lui un essere senza dignità, un figlio di nessuno. All’improvviso una famiglia di contadini decide di adottarlo e tutto diventa possibile. Si apre uno spiraglio per il riscatto, si affaccia l’eventualità di un futuro diverso.

IL DESTINO PERÒ SEMBRA segnato. Non passa molto tempo che viene scoperto a frugare nel cassetto dove i genitori adottivi nascondono i soldi: lo sguardo degli altri, scrive Sartre, fa di lui un ladro. Rifiuto era, marginale resta. È restituito all’orfanotrofio, ritorna con una sentenza cucita sulla pelle: «è un ladro». Ha solo sette anni ma il destino si è già chiuso su di lui per sempre. «La vergogna del piccolo Genet gli rivela l’eternità: è ladro dalla nascita e lo resterà fino alla morte». Una condanna che raggiunge l’essenza del suo essere come una «natura infetta».

IL CASO SI RIVELA per Sartre esemplare. Genet è irrimediabilmente pietrificato, «trafitto da uno sguardo, farfalla fissata su di un tappo, egli è nudo, tutti possono vederlo e sputargli addosso. Lo sguardo degli adulti è un potere costituente che l’ha trasformato in natura costituita». Cosa fare? Come rispondere a questo stigma? Jean Genet lo accetta e sembra dichiarare con sfrontatezza: voi mi avete condannato, avete fatto di me un delinquente e io accetto la vostra condanna. Ma non crediate che lo faccio perché voi me l’avete imposto: sono io che scelgo di essere il ladro, di essere il Male, il Male assoluto contro di voi, contro la società che mi ha rifiutato. Questa è la mia risposta, l’unica alternativa di riscatto che mi avete lasciato.

«Il Saint Genet è forse il libro in cui meglio ho spiegato ciò che intendo per libertà», annota Sartre. Non un concetto astratto, ma il margine possibile per diventare ciò che si è, quello spazio che resta tra la situazione iniziale e quella finale. L’essere umano non è un minerale, Genet è stato costituito come Altro da sé, ma non ammette di essere passivamente ciò che la società vuole da lui, non accetta di essere considerato un oggetto. Non dice che la società è responsabile dei suoi atti, vuole riprendersi la sua vita. È lui l’attore e, da vero commediante, metterà in scena la commedia di sé.

PER RECUPERARE SE STESSO diventerà commediante, ma sarà pure martire, vittima di questa messinscena. La costituzione è una sentenza e lui vuole che sia eseguita, la vuole portare sino in fondo. «Ho deciso di essere ciò che il delitto ha fatto di me», scrive Genet. Una frase che indica che «ha deciso», ha scelto cioè tra i suoi «possibili»: ha scelto la commedia, ha scelto di essere ciò che il delitto ha fatto di lui.

Sartre si oppone a ogni costituzione passiva e promuove una teoria della coscienza emancipata dal mondo. A partire dal lavoro su Jean Genet e successivamente con il Flaubert la fase costitutiva apparirà come inevitabile momento alienante della praxis umana, come sedimento che lascia l’essere dell’essere-stato, in quanto pratico-inerte. Genet accetta ciò che è stato fatto di lui, una sorta di condanna senz’appello, ma rimane un essere libero. Dirà Sartre: «non siamo delle zolle d’argilla e l’importante non è quel che si fa di noi, ma quel che facciamo noi stessi di ciò che hanno fatto di noi». Quella differenza, quel piccolo movimento fa di un essere totalmente condizionato una persona. Sono costituito dal passato, dall’ infanzia, dalla condizione sociale, dalla storia, ma tutti i condizionamenti non determinano mai un destino.

LA PUBBLICAZIONE del Saint Genet segna un momento decisivo per il filosofo francese. Siamo nel 1952 ed è l’anno della sua svolta teoretica. Sartre è convinto che occorra cambiare registro, la sua filosofia rimane ancora troppo lontana dagli esseri umani in carne e ossa. Ha pubblicato L’Essere e il Nulla nel 1943; ha abbandonato il progetto di costruire una morale, che apparirà postuma come Cahiers pour une morale perché troppo astratta. È ora di sprofondare nel mondo, di avvicinarsi al marxismo, di fare in modo che le categorie diventino esperienze vissute. Tutto ciò confluirà nella Critica della ragione dialettica. Jean Genet è l’occasione per parlare della libertà attraverso il conflitto tra un individuo e la sua storia. Oltre a Genet, si occuperà poi di Freud, di Mallarmé, del Tintoretto ed infine dedicherà più di dieci anni alla monumentale opera su Gustave Flaubert.

OGNI VITA RACCHIUDE in sé un universo. Basta un singolo caso per esprimere la totalità. Ogni singolo elemento conserva, e supera, le proprietà dell’insieme di cui è parte. L’individuo è un universo-singolare che mette in atto la propria epoca, l’interpreta e la realizza. Esistenzialismo significa priorità all’umano di fronte alle forme inumane e inerti delle costruzioni umane. Per parlare di filosofia si deve partire dall’osservare e descrivere il reale, non da categorie. Le categorie sono rimandate ad un secondo momento, sempre provvisorio, della totalizzazione. La provvisorietà indica che, di fronte alla infinita ricchezza dell’umano, le forme astratte del pensiero sono strumenti che sono posti per essere sciolti.

Ronald Laing e David Cooper in Reason and violence considerano il Saint Genet «il tentativo più radicale da parte di un uomo di comprendere la vita di un altro essere umano». Il 15 aprile del 1986 Genet muore a Parigi, molti anni dopo, nel luglio del 2014, un gruppo di detenuti-attori della compagnia di teatro della Fortezza del carcere di Volterra adatta l’opera di Sartre mantenendo il nome Saint Genet, commediante e martire. L’estetica della provocazione di Genet continua a generare spazi di libertà.

 

(tratto da: il manifesto, 29.o4.2017)

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