Macerie di post-politica di Giogio Vecchi

Per cercare di spiegare il risultato delle elezioni amministrative a Parma bisogna guardare indietro e intendo farlo in un’unica direzione: il PD. Tutto ciò che è avvenuto ha una genesi, i fatti e le azioni che la determinano riguardano esclusivamente i rapporti tra il Partito Democratico, il sindaco Federico Pizzarotti e lo stato di confusione apparente dimostrato dai Democratici in un periodo che va dalla sconfitta di Bernazzoli nel 2012 alle elezioni dell’aprile 2017. Mi riferirò esclusivamente al PD perché le altre forze politiche, da quelle di sinistra ai centristi di Ghiretti, non sono riuscite ad esprimere, a mio avviso, un peso o un’azione tale da essere citate in questo pezzo, pur essendosi rese visibili nell’attività dei rispettivi gruppi consiliari o durante la fasi finali della campagna elettorale, dove hanno affannosamente svolto la loro parte di comprimari in cerca di un ruolo senza poi trovarlo. A tutt’oggi, ciò che resta di loro in consiglio comunale (al di là della qualità dei singoli) appare, ai miei occhi, politicamente indecifrabile.

Tengo a precisare che ho iniziato la mia militanza nel PD (pur essendo io da sempre su posizioni molto più a sinistra) con l’unico scopo di lavorare ad un progetto politico che potesse riportare la sinistra al governo della città di Parma. Nel 2010 Lorenzo Lavagetto, da poco eletto segretario del circolo PD Parma centro (ruolo che in seguito ricoprirò anch’io), invita me ed altri “compagni” a cantierizzare una serie di iniziative allo scopo di creare un gruppo in grado di sperimentare, a prescindere dall’azione svolta dalla pesante struttura del partito, un processo di rinnovamento della politica, nei suoi meccanismi di partecipazione e nella capacità di interpretare i nuovi bisogni che la società in quel momento esprimeva con forza, ma anche e soprattutto per arginare il degrado sistemico provocato dalla precedente giunta Vignali. La crisi era al suo culmine e il populismo a 5 Stelle che governava la città mostrava già i segni della confusione e dell’insipienza amministrativa che caratterizzeranno la giunta Pizzarotti.

Quel periodo fu propedeutico all’impegno che maggiormente distinguerà la successiva segreteria cittadina Lavagetto: il bel percorso di partecipazione politica denominato ParMap.

Detto questo, la prima volta che intesi la probabile sconfitta del PD alle elezioni amministrative del 2017, fu poco tempo dopo l’insuccesso di Bernazzoli del 2012. Mi trovavo a bere un caffè con un dirigente del PD di Parma dell’epoca (uno importante) per discutere non ricordo quale argomento. Ricordo assai bene, però, una disamina che egli mi fece su quanto sarebbe accaduto da quel momento alla successiva tornata elettorale. Più o meno mi disse quanto segue: “Il partito, così com’è, non è in grado di esprimere un candidato di bandiera credibile agli occhi dell’elettorato, è necessario trovarne uno nella società civile, di altissimo profilo, un moderato che raccolga voti anche fuori dal nostro alveo naturale e che sia gradito all’ambiente delle attività produttive. I prossimi cinque anni li giochiamo in sostanziale attesa per arrivare ad esprimere la candidatura in una data che sia la più prossima possibile a quella delle elezioni. Il resto sono solo chiacchiere”. Fece anche il nome di una personalità molto in vista in città, solo come esempio ovviamente, lo stesso nome però sarebbe circolato pedantemente nei successivi cinque anni ogni volta che negli ambienti del PD cittadino si sarebbe parlato di candidature. Quel nome non verrà candidato. La strategia era chiarissima: il problema non erano né i programmi, né l’opposizione, né le battaglie civili o l’attività consiliare, né tanto meno la funzione politica svolta sul territorio dai militanti, tutti elementi ritenuti accessori. Alla fin fine non era neanche il nome ad essere così importante, piuttosto il suo profilo: un moderato capace di raccogliere voti a destra, o giù di lì. Questo modo di intendere il possibile candidato era teorizzata soprattutto da una parte importante della dirigenza e da una serie di capi bastone storici, in massima parte ex DS, da sempre particolarmente attenti e vicini alle posizioni di Confindustria. Il problema (molto serio) era che mentre la città aveva ampiamente dimostrato di voler cambiare pagina, il Partito inseguiva il passato. Questa logica di fatto non cambiava il rapporto tra candidato e istituzioni economiche, così come era già stato per Bernazzoli; in sostanza, si intendeva riproporre un modello di gestione delle relazioni istituzionali perdente, non solo perché vecchio e inadeguato ai tempi, ma anche perché sostanzialmente vuoto e privo di contenuti politici: potevamo essere tutto o il suo contrario. Il PD di Parma (come quello nazionale), senza un’identità politica definita, era l’ambiente perfetto per chi sosteneva, sbagliando, l’autoconservazione del sistema di potere e dei suoi equilibri ma era anche, e perché no, il luogo delle possibilità: uno spazio da riempire. La risposta al vecchio modo di fare politica e alle logiche di autoconservazione è stata l’esperienza ParMap che, in qualche modo, con poche risorse ma molto entusiasmo da parte di chi l’ha vissuta, ha cercato di dare risposta anche alla necessaria ridefinizione della sinistra. Se il Partito provinciale e i ”vecchi notabili” sostanzialmente snobbavano l’iniziativa, la segreteria cittadina di Lavagetto trovava in Fabrizio Barca una sponda per sostenere il progetto anche a livello nazionale. Cito dalla pagina di Wikipedia dedicata a Barca: “Nel febbraio 2014 (Barca n.d.r.) dà vita al progetto Luoghi Ideali, finanziato tramite crowdfunding, col quale si propone di sperimentare il “partito palestra” attraverso alcuni prototipi in cui le strutture locali del PD – i luoghi reali – si impegnino a mettere in atto nuovi metodi di azione, partecipazione, produzione di conoscenza e comunicazione. Concretamente i luoghi ideali sono un sistema di collegamento tra questi progetti, tra i quali spicca il progetto parmigiano ParMap il cui successo ha portato il PD della cittadina emiliana a ospitare il 30 gennaio 2016 il seminario nazionale dei Luoghi ideali che Barca ha condotto”.

Nell’estate 2014, mentre il Partito cittadino faticosamente lavorava al progetto ParMap per riconfigurare la personalità del partito, optando per un’opposizione costruttiva e propositiva in preparazione del futuro appuntamento elettorale, avveniva quello che è da considerarsi il passaggio del “rubicone” nei rapporti tra il PD provinciale/regionale/nazionale e il sindaco Pizzarotti. Per comporre il nuovo Consiglio provinciale sono iniziate delle consultazioni, di fatto segrete e comunque svolte a totale insaputa sia del PD cittadino che del gruppo consiliare di Parma, per mettere insieme un listone unico e trasversale a sostegno del futuro Presidente Filippo Frittelli, Sindaco PD di Salsomaggiore. Il listone comprendeva alcuni sindaci del territorio dei vari schieramenti politici: PD, M5S, Centrodestra (Forza Italia) e liste civiche. Una sorta di marmellata post politica ideata nel più totale sfregio al mandato elettorale, che tutti gli amministratori eletti sono chiamati a rispettare e che avviene (di solito) con la scelta non solo di un nome, ma anche e soprattutto di un simbolo e di un programma politico ben preciso. Le differenze, che sono il carburante della democrazia, venivano annullate dal listone in virtù di una sorta di pragmatismo tecnico, un atto di arroganza inspiegabilmente controproducente, utile solo ad aggiungere un mattoncino al già possente muro eretto dall’antipolitica, una di quelle cose che provoca disaffezione dei cittadini al voto (perché devo andare a votare se tanto poi si mettono d’accordo fra di loro?). La motivazione addotta dagli interessati era quella che il listone avrebbe consentito di facilitare i rapporti istituzionali fra i sindaci, aggiungo che avrebbe sancito una logica che si stava facendo strada nel mondo politico, in particolare nel PD, e cioè l’idea che il dibattito politico sia una premessa trascurabile, un’appendice riservata alla campagna elettorale ma che all’atto della gestione del potere, nel momento in cui il Partito diventa pubblica istituzione, la strada da intraprendere per affrontare e risolvere i problemi sia univoca per tutti, a prescindere dal colore politico che la esprime. Tra i sostenitori c’erano il segretario provinciale del PD di allora Alessandro Cardinali e il Senatore Giorgio Pagliari, i quali in nessuna occasione di confronto hanno mai dato una spiegazione politica di quell’iniziativa. Se l’operazione fosse andata in porto una delle conseguenze più gravi (e ovvie) sarebbe stata la delegittimazione del Partito cittadino e del gruppo consiliare come forza di opposizione.

A fine estate Lavagetto e Nicola Dall’Olio (il capogruppo del gruppo consiliare PD) si misero di traverso, dopo una contesa a suon di comunicati stampa e forti della presa di posizione contraria espressa dell’assemblea cittadina del PD, riuscirono a fermare il progetto del listone.

La vicenda innescò un’insanabile spaccatura fra partito cittadino e provinciale che nell’arco dei successivi tre anni avrebbe caratterizzato il ritmo sincopato nelle relazioni fra i due organismi tra momenti di dialogo di natura istituzionale e fasi di reciproca, assoluta, chiusura. Di fatto, il Partito provinciale in città perse voce in capitolo sino all’avvento delle elezioni dove sarebbero cominciati i pasticci.

Parallelamente, il sindaco di Parma consolidava sempre di più la sua posizione di “referente istituzionale affidabile” sia per il PD provinciale che per quello regionale. L’uscita di Pizzarotti dal M5S lo ha trasformato poi in un soggetto politico degno di interesse per due motivi: il primo, come molti osservatori politici ci hanno fatto notare, è che Pizzarotti poteva essere una sorta di cavallo di Troia adatto a scompaginare il fronte Grillino, capace di dare voce e risalto nazionale alla montante dissidenza interna.

Il secondo, la cui logica perversa (e suicida) fatico ancora comprendere, è che Pizzarotti era un amministratore in carica ergo aveva già vinto. Perchè spendere energie per rimettere in piedi un partito, cercare consenso, costruire relazioni, produrre idee, fare una dispendiosa e stressante campagna elettorale quando tutto questo in fondo esisteva già? Pizzarotti era, ed è, il nulla politico, che per osmosi si somma perfettamente al vuoto identitario mai risolto del PD a cui facevo precedentemente menzione. In ragione della volontà di prediligere il dialogo interistituzionale a discapito della dialettica politica, ho la sensazione che il partito regionale abbia da tempo sviluppato una certa idiosincrasia per il confronto con la propria base, un esempio è stato il “non congresso” che ha eletto, a seguito di un accordo tra i vertici del partito, il segretario regionale Calvano; nella stessa misura a Parma la “maggioranza” del provinciale ha rifiutato il congresso per eleggere il nuovo segretario a seguito delle dimissioni di Cardinali eletto Consigliere Regionale, tenendo inchiodato il partito senza segretario per sei mesi. Io stesso, che ero uno dei più accesi sostenitori dell’ipotesi congressuale cambiai idea per sfinimento. La scelta del nuovo segretario fu fatta di forza, sotto la minaccia di commissariamento del partito di Parma da parte dei vertici regionali. In tutto questo c’è un dato che più degli altri sconcerta ed è la completa deresponsabilizzazione che il partito provinciale/regionale ha sviluppato nei confronti del proprio elettorato. Esattamente come nell’ipotesi del listone, i vertici del partito stabiliscono un contatto privilegiato e consolidato di natura politica con Pizzarotti, in barba ai loro elettori, che alle amministrative voteranno contro Pizzarotti e che nei Democratici ripongono le loro speranze di cambiamento, quella comunità politica fatta appunto di iscritti, votanti e simpatizzanti, a cui ci si rivolge con termini di orgoglio e di appartenenza nel momento della comunicazione pubblica, ma ai quali, quando si decide, si voltano le spalle.

L’ultimo anno prima delle elezioni, il partito è in condizioni critiche, le lacerazioni interne non consentono nessun dialogo costruttivo, il provinciale tenta goffamente di entrare nella campagna elettorale baipassando il partito di Parma con operazioni come l’organizzazione di una serata sulla sicurezza dove sostanzialmente viene lanciato sulla scena pubblica Luigi Alfieri, giornalista con un’idea di sicurezza tanto cara agli animi più xenofobi, il cui scopo in realtà era quello di creare una propria lista e di candidarsi a sindaco, anche grazie alla legittimazione che il segretario Gianpaolo Serpagli di fatto con quella serata gli procurò.

L’impossibilità di trovare un accordo sulle cose da fare e la certezza che a Bologna si sta giocando una partita oscura col sindaco di Parma acuisce lo stato di confusione e incertezza. Il segretario regionale Calvano, durante una riunione, intima al partito di Parma di “stare fermi” come a dire che le decisioni si prenderanno altrove. Dagli ambienti del provinciale a più riprese si lascia intendere che la candidatura deve esser di carattere maggioritario il che vuol dire niente primarie, scelgono i vertici. È a quel punto che Lavagetto, che delle primarie aveva fatto il punto cardine del suo programma di segretario, punta i piedi contro tutto e tutti e inizia la sua personale battaglia per arrivare alla consultazione popolare. Le primarie si faranno, per merito e volontà sua, ma anche lui alla fine cadrà nella logica del “candidato moderato” sostenendo Paolo Scarpa, persona di grande qualità ma discutibile candidato, che dal PD se ne era andato anni prima sbattendo la porta. La controparte sostenuta dal Provinciale è Dario Costi, persona stimabile quanto inconsapevole vittima sacrificale della programmata vittoria del sindaco uscente e infine Nicola Dall’Olio, che si ritirerà poco tempo prima della consultazione per sostenere Scarpa, l’unico a mio avviso, che per storia, competenza e personalità avrebbe avuto, come candidato, una ragione d’essere, il centro sinistra avrebbe comunque perso ma lo avrebbe fatto con dignità e nella possibilità di esprimere meglio temi e programmi che gli sono propri. Scarpa alle primarie vince, ma il PD e inizia una campagna elettorale condotta sottotono, dove una parte del partito, se non rema contro, se ne sta in silenzio in attesa dell’inevitabile sconfitta che, come da tutti prevista, arriverà.

Questa narrazione dei fatti, quelli che perlomeno mi sono sembrati più significativi, non la faccio per attribuire meriti o responsabilità ma per definire il clima in cui questi sono avvenuti, una sorta di dimensione schizofrenica dove c’è stato un PD che ha perso e uno che ha vinto. Un contesto di incapacità di cui, sia la politica che la società di Parma, sembrano essere irrimediabilmente malate e che produce l’impossibilità di mediare sui problemi collettivi, di dialogare senza che i personalismi e la banalizzazione degli argomenti prendano il sopravvento.

Rimane dunque l’amarezza per molti che, come me, nel PD hanno speso tempo e passione negli ultimi cinque anni, per portare nel pubblico dibattito i temi più vicini ai problemi reali delle persone, cercando di costruire nel tempo, non solo un’ipotesi di vittoria ma anche e soprattutto un progetto sociale e politico che però sembra non essere il fine prioritario del PD.

Il giudizio politico di tutto questo lo lascio al lettore, il resto, come diceva quel dirigente, sono solo chiacchiere.

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