Malatesta, il “voler essere” come base dell’anarchia di Matteo Moca

 

Appare purtroppo evidente come l’eredità di Errico Malatesta, sicuramente il più importante tra gli anarchici italiani, certamente uno dei combattenti più strenui per la libertà di ogni uomo, sia oggi alquanto tralasciata ed offuscata. Poche sono le eccezioni, qualche breve e sporadica pubblicazione, tra cui si segnala però il piccolo volume edito da Clichy L’anarchia o Al caffè. Conversando d’anarchia e libertà edito invece da Ortica, e una importante monografia, quasi narrativa, di Vittorio Giacopini, Non ho bisogno di stare tranquillo. Errico Malatesta, vita straordinaria del rivoluzionario più temuto da tutti i governi e le questure del regno. A questo avrà senza dubbio contribuito anche il fatto che Malatesta, proprio per la sua attività militante che costituiva un imprescindibile aspetto non solo del suo pensiero ma anche della sua vita, non ha lasciato un’opera che possa rendere organicamente conto del suo pensiero, disperso piuttosto in una miriade di articoli pubblicati sulla stampa anarchica. Questa occorrenza va però immersa, affinché possa essere compresa, nel tempo storico di Malatesta e anche nel suo pensiero, che in questo si distacca da quello di altri importanti rappresentanti del pensiero anarchico come Bakunin o Kropotkin: laddove questi ultimi si impegnavano duramente per costruire una logica del loro pensiero, Malatesta scelse sempre di mettere questo pensiero in pratica, verificandone così la coerenza e la validità. Questo appare evidente se si scorre la sua biografia, piena di numerosi viaggi e movimenti: nato a Santa Maria Capua Vetere nel 1853, nel 1872 è tra i fondatori dell’Associazione internazionale dei lavoratori e nello stesso anno interviene, con Bakunin e Guillaume all’atto di nascita del movimento anarchico, intervenendo al congresso a Saint-Imier. Tra il 1877 e l’anno successivo si muove tra Egitto, Francia, Svizzera e Belgio e poi ancora Romania, Inghilterra e Argentina, spesso per sfuggire a condanne ridicole (come quella di «malfattore», accusa inventata dalla magistratura italiana per incastrare mettere fuori gioco gli anarchici). Rientrerà e uscirà dall’Italia continuamente ma sarà uno degli uomini più importanti della Settimana rossa nel giugno 1914 e fonderà prima il quotidiano anarchico Umanità nuova e poi il periodico Pensiero e volontà. Da questa breve e veloce carrellata sulla vita di Malatesta, si intuisce e si comprende meglio la natura dell’anarchismo di Malatesta, incentrata sulla pratica, l’esercizio e il confronto diretto.

Esce adesso per Eleuthera Buon senso e utopia, preziosa raccolta di scritti malatestiani che raccoglie gli interventi risalenti agli ultimi dieci anni della sua vita, curati e introdotti da Giampiero N. Berti. Un libro prezioso nel suo tentativo di riordinare e riunire molti materiali altrimenti introvabili che nel loro scorrere danno vita ad un ritratto importante del pensatore napoletano e rendono giustizia all’operazione più importante compiuta da Malatesta, quella di separare l’anarchismo da qualsiasi altra ideologia o corrente, sia essa comunista o rivoluzionaria, e a dare ad esso una costituzione specifica e distinta.

Partendo da una distinzione netta tra l’anarchia, ovvero il fine, e l’anarchismo, ovvero il mezzo, Malatesta può lecitamente aspirare a slegare i fini anarchici dalle tendenze e i significati storici del presente, in continuo mutamento e quindi di impossibile messa a fuoco definitiva, a favore di un’universalità del fondamento: «l’anarchia – scrive Berti nella sua appassionata e approfondita Introduzione – non è fondata su un essere, né su un dover essere, ma su un voler essere: in questo modo essa ha un respiro universale». Il voler essere è costituito dalla libertà e così «la libertà, l’uguaglianza, la solidarietà – vale a dire i valori costitutivi dell’anarchismo – non sono proposizioni subordinate una volta per tutte a spiegazioni scientifiche, ma giustificazioni etiche dell’agire umano volto verso il futuro». Questi ideali cardine sono allora per Malatesta espressione insopprimibile di una valenza universale e sono rintracciabili nelle abitudini e nei comportamenti umani guidati da amore e preoccupazione per l’altro: per comprendere ancora meglio i movimenti del pensiero di Malatesta si possono prendere in prestito le parole di Colin Ward in Anarchia come organizzazione (edito sempre da Eleuthera), quando il pensatore inglese scrive che una società anarchica, cioè una società che si organizza senza l’autorità «esiste da sempre, come un seme sotto la neve, sepolta sotto il peso dello Stato e della burocrazia, del capitalismo e dei suo sprechi, del privilegio, del nazionalismo e delle religioni».

In alcuni dei testi più importanti di Malatesta, che non a caso aprono la prima sezione di Buon senso e utopia sotto il titolo di Anarchismo e anarchia, viene messa in luce la più alta espressione etica dell’anarchia, ottimo antidoto per chi al suono di questa parola non riesce a fare altro che a storcere il naso: anarchia è un ideale, una meta forse mai pienamente raggiungibile ma che per sua natura tende agli ideali di libertà ed eguaglianza: «Noi ci vantiamo di essere soprattutto ed innanzi tutto propugnatori di libertà: libertà non per noi soli, ma per tutti; libertà non solo per quello che a noi sembra la verità, ma anche per quello che può essere o parere l’errore». E ancora, poco dopo, evidenzia un punto fondamentale del suo pensiero, ovvero quel legame cardine tra la libertà individuale e gli altri: «Noi reclamiamo semplicemente quella che si potrebbe chiamare la libertà sociale, cioè l’uguale libertà per tutti, un’uguaglianza di condizioni tale che permetta a tutti di fare il proprio volere col solo limite imposto dalle ineluttabili necessità naturali e dalla uguale libertà degli altri».

Un libro ricchissimo questo curato da Berti, dove chiunque può addentrarsi nel pensiero di Malatesta, troppo spesso dimenticato, e, più in generale, nel pensiero dell’anarchismo e dell’anarchia. I testi di Malatesta non sono solo uno strumento utile per una rilettura del secolo passato, ma aprono altresì inquietanti scenari sulla nostra contemporaneità, come accade per esempio leggendo il capitolo finale dedicato al fascismo e ai presupposti dei governo totalitari.

Errico Malatesta, Buon senso e utopia, Eleuthera, a cura di Giampiero N. Berti

foto: Errico Malatesta e gli Arditi

(Pubblicato sul sito alfabeta2, il 22 aprile 2018)

 

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