L’operaismo messo in pratica, storia di Potere Operaio di Diego Giachetti

 

A strappare l’organizzazione politica Potere Operaio dell’oblio in cui sembrava essere precipitata nella seconda metà degli anni Settanta, contribuì l’azione penale intrapresa il 7 aprile 1979 contro i suoi principali dirigenti, accusati di essere il “comitato” direttivo di tutti i gruppi, Brigate Rosse in primis, che praticavano la lotta armata. Accusa inverosimile, come poi si dimostrò, ma intanto gli arrestati si fecero qualche annetto di carcere. Quell’evento ha imposto la successiva storytelling del gruppo in due modi: ha dato spazio e risalto, dopo le vicende giudiziarie, alla memorialistica dei protagonisti e alle ricostruzioni da pubblico ministero; ha imprigionato la ricostruzione dei fatti in un paradigma già fissato e solo da riconfermare scegliendo, tra la documentazione possibile, solo quella favorevole alla narrazione precostituita.

Non è questa la via scelta da Marco Scavino nel libro Potere operaio. La storia. La teoria, (vol. I, Roma, Derive Approdi, 2018) che, invece di “legare” la storia di questa organizzazione al “letto di Procuste”, le ridà piena libertà, strappandola dal senso comune dell’odierno presentismo dove ciò che è noto non corrisponde al conosciuto. Quando si vuole ricostruire «da un punto di vista storico le vicende di una formazione politica, non ci si può che attenere a quanto essa all’epoca dichiarò, scrisse e fece”, precisa l’autore in una nota. La storia del gruppo si articola lungo tre indirizzi di ricerca: il rapporto col costrutto teorico e politico dell’operaismo, così come si configura negli anni Sessanta; il tentativo di sciogliere il nodo della rivoluzione nelle società a capitalismo avanzato nel secondo dopoguerra; il ruolo di Potere Operaio nella genesi della lotta armata.

Che in Potere Operaio, come in molti altri gruppi della sinistra extraparlamentare, nei primi anni Settanta si sia discusso di uso della forza, di insurrezione, di rivoluzione, è innegabile, soprattutto nel clima e nelle circostanze date dai primi anni Settanta. Tuttavia, Potere Operaio non fece mai la scelta organizzativa di passare alla lotta armata, come fecero altre formazioni quali le Brigate Rosse e i Gruppi di Azione Proletaria. A trattenerlo dal compiere quella scelta, vi era l’impostazione di fondo secondo la quale l’eventuale sviluppo della lotta armata doveva avvenire in un rapporto diretto con la crescita di lotte di massa, col maturare della consapevolezza della necessità della rottura rivoluzionaria tra larghi strati delle classi subordinate.

Alle origini per andare oltre

In questo primo volume si tratta la storia di Potere Operaio a cominciare dalle sue radici, cioè l’esperienza militante e di ricerca teorica condotta da due riviste: “Quaderni Rossi” e “Classe Operaia”. Esperienze verso le quali Potere Operaio si pone in continuità nell’approccio teorico e pratico alle lotte operaie, valorizza il tema dell’autonomia della classe, lo stile e le modalità d’intervento politico di massa; ma è una continuità da cui parte per andare oltre, passare dalla teoria all’azione politica contingente, rielaborando il bagaglio del precedente operaismo alla luce dei cambiamenti che avvengono nel ’68 e nel ’69: inattesa la rivolta studentesca, attesa invece quella operaia, di cui gli operaisti avevano colto i segnali nel quinquennio finale del decennio. In questo senso, se la metafora è consentita, Potere Operaio rappresenta lo spirito dell’operaismo che si fa “carne”, cioè organizzazione politica. Un’incarnazione che ha come riferimento l’esperienza già in corso delle lotte operaie di Porto Marghera e non solo. Già durante l’estate del 68 il gruppo di persone che fa riferimento all’operaismo inizia a riconsiderare il progetto politico complessivo, introduce alcuni elementi politici e organizzativi destinati ad avere un peso nella futura prossima storia di Potere Operaio. L’organizzazione politica deve essere espressione dell’autonomia di classe, alle sue lotte e ai contenuti rivendicativi: riduzione delle ore di lavoro a parità di paga, aumenti salariali uguali per tutti. L’imprevisto del movimento studentesco viene letto come ribellione degli studenti in quanto forza-lavoro in formazione, in modo da collegare scuola e sviluppo capitalistico e controbattere alle tesi che lo considerano l’espressione di settori della piccola e media borghesia. Parallelamente si rielabora il concetto di composizione di classe e si introduce quello di operaio massa, per indicare i settori di manodopera dequalificata, mobili e intercambiabili della forza lavoro.

L’anno del potere operaio

Probabilmente decisiva per l’incubazione del gruppo è la lotta operaia che si apre Torino, alla Fiat, nella primavera del 1969, raccontata dal giornale “La Classe” e organizzata anche dall’Assemblea operai e studenti. È una breve esperienza. Con la ripresa autunnale delle lotte l’Assemblea si divide. Sul finire del settembre di quell’anno compare il primo numero di “Potere operaio” che si pone in continuità col giornale “La Classe” che aveva cessato le pubblicazioni; poi, nel mese di novembre, l’uscita del primo numero di “Lotta Continua”, provoca l’uscita di chi si riconosce in Potere operaio e di altre componenti minori dall’Assemblea operai e studenti.

Secondo i promotori del giornale, quel ciclo di lotte pone un problema enorme: trovare uno sbocco rivoluzionario, di presa del potere. Su questo nodo il gruppo consuma la sua parabola politica, sostiene l’autore, senza venirne a capo. Si pone quindi il tema dell’organizzazione delle lotte, del ruolo che devono assumere i comitati autonomi sorti in varie fabbriche. Matura la consapevolezza della necessità di dotarsi di un’organizzazione permanente e coordinata a livello nazionale, per superare la condizione minoritaria e isolata della singola fabbrica, sottrarre ai sindacati la direzione politica del movimento e generalizzare lo scontro sociale. Se si pone all’ordine del giorno la questione del potere, allora è necessario dotarsi di strumenti organizzativi adeguati; in questo senso va recuperata la lezione del leninismo che non vuole dire riproporre il modello bolscevico di partito. I primi passi organizzative consistono nella formalizzazione delle realtà locali, nel reperimento delle sedi e nella definizione più precisa del quadro militante, tutto al fine di favorire la centralizzazione delle forze operaie esistenti nei vari comitati politici coi quali Potere operaio spera di costruire movimenti di classe e dare una base di “massa” al partito. Alcuni incontri tra avanguardie militanti che si svolgono dopo la firma dei contratti del 1969 indicano, tra lunghe e articolate discussioni, aperte e pubbliche, il percorso da seguire. È un progetto ambizioso che dovrà tener conto anche dell’esiguità e eterogeneità delle forze disponibili, sproporzionate rispetto ai compiti prefissati.

Il convegno nazionale, che si tiene a Bologna il 5-6 settembre 1970, a cui partecipano circa cinquecento persone in rappresentanza di vari organismi autonomi e gruppi locali, decide la costituzione di un partito basato su una rete di organismi di classe, nella speranza di trovare la via rivoluzionaria alla presa del potere che le lotte operaie pongano come scadenza a breve termine. Nell’immediato ritengono si debba ricercare una ricomposizione delle forze politiche dei gruppi che non sia la semplice sommatoria dei militanti rivoluzionari professionali. In questa prospettiva si precisa la proposta di confronto politico, per l’eventuale aggregazione, col gruppo del Manifesto, appena espulsi dal Pci. Si stabiliscono contatti e si decide di organizzare assieme un convegno operaio a Milano il 30-31 gennaio 1971. Vi partecipano 1.500 persone in rappresentanza di 76 situazioni operaie organizzate dal Manifesto e 68 situazioni organizzate da Potere operaio. Quasi subito emerge la sostanziale distanza fra le due organizzazioni nel modo di intendere la politica rivoluzionaria, di accentuare o meno il tema della lotta contro lo Stato, di prospettare o meno in tempi brevi una precipitazione dello scontro sociale e su come organizzarsi in fabbrica: aderire e sostenere il movimento dei delegati e dei consigli, oppure costruire i comitati e le assemblee autonome? La separazione è consensuale. Potere Operaio continua il suo percorso politico che ci verrà narrato nel secondo volume previsto.

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