Due Rose di Diego Giachetti

 

Due sono i libri che la casa editrice Red star press di Roma dedica a Rosa Luxemburg in occasione del centenario della sua morte, avvenuta nella notte fra il 15 e il 16 gennaio quando, assieme a Karl Liebknecht, fu arrestata a Berlino e trucidata dalla soldataglia. Il primo, di Sergio Dalmasso, Una donna chiamata rivoluzione, traccia un succinto e avvincente ritratto della protagonista, cogliendo e intrecciando la dimensione personale con quella pubblica. Il secondo, curato da Nando Simeone e pubblicato in collaborazione col Centro studi Livio Maitan, riprende uno degli scritti più citati, Socialismo a barbarie, di Rosa Luxemburg, col quale è ricordato un saggio che nelle principali raccolte degli scritti della rivoluzionaria polacca appare con il nome di La crisi della socialdemocrazia e ha come riferimento la denuncia dell’atteggiamento dei partiti socialisti della Seconda Internazionale di fronte allo scoppio della Prima guerra mondiale, descritta come un vero e proprio precipitare dell’umanità in una crisi di civiltà, provocata dall’imperialismo capitalista.

Tra i classici del marxismo

Sia l’autore che il curatore tracciano un ritratto a tutto campo dei temi politici e teorici da lei trattati nel corso della sua vita. La sua opera appartiene pienamente alla definizione di classici del marxismo. Per classici, precisa Dalmasso, sono da intendersi quei testi che davanti ai nodi dell’oggi si rivelano più vivi che mai. Tuttavia, i suoi lavori restano ancora misconosciuti e la sua eredità a dir poco problematica, certamente però è ricca e preziosa, una miniera i cui filoni sono ancora in parte da esplorare e ancora parlano al nostro tempo. Solo con l’impetuoso e gioioso clima prodotto dalle lotte studentesche e operaie degli anni Sessanta e Settanta e la contemporanea nascita di formazioni politiche “eretiche” alla sinistra dei partiti tradizionali, con un certo seguito soprattutto tra le fasce giovanili politicizzate, si ebbe la riscoperta del pensiero di Rosa Luxemburg, come alternativa alla deriva riformista socialdemocratica in Occidente, al socialismo reale di stato ad Oriente e allo stesso leninismo, come provò a fare Lelio Basso, sostenendo che mentre Lenin aveva concentrato il fuoco della sua battaglia sull’anello più debole della catena capitalistica mondiale, la Luxemburg invece aveva una visione meno tattica e più strategica, a lunga scadenza sui problemi di una rivoluzione in una società capitalistica altamente sviluppata.

Fu una riscoperta che faceva i conti con abiure, condanne e calunnie vere e proprie operate da politici e “storici” dei partiti comunisti a partire dall’affermazione dello stalinismo in Unione Sovietica. Nella seconda metà degli anni Venti si coniò l’accusa di luxemburghismo, al pari di trotskismo, bordighismo, anche se meno grave, secondo il vademecum dei peccati stabiliti da Stalin; tutte però erano trattate come deviazioni tipiche dei sostenitori dei nemici della classe operaia.

Nazionalismo, revisionismo, democrazia, organizzazione

Chiaro il suo rifiuto del nazionalismo, in ciò distinguendosi da Lenin e dal suo concetto di autodeterminazione nazionale. In una società divisa in classi la nazione non esiste in quanto totalità politico-sociale; esistono invece in ogni nazione classi con interessi e diritti antagonistici, scriveva. Altrettanto severa è la critica al revisionismo del marxismo in corso da parte di esponenti della socialdemocrazia del suo tempo. Si può dire che la sua preveggenza di pensiero anticipò la critica di Lenin e le consentì di comprendere la dinamica involutiva della socialdemocrazia tedesca e della maggior parte dei partiti che avevano in tale organizzazione un punto di riferimento. Centrale il rapporto tra liberalismo e democrazia. La democrazia per la classe operaia è necessaria perché offre le forme politiche (autogoverno, diritto di voto) che serviranno al proletariato da appigli e punti di appoggio nella sua opera di trasformazione della società borghese e perché solo nella lotta combattuta per la democrazia, nell’esercizio dei diritti democratici, il proletariato diventa cosciente dei propri interessi di classe e storici.

Rosa Luxemburg non era contraria all’organizzazione partitica, ma criticò l’idea di centralismo propugnata da Lenin nel 1903, perché intravvedeva il pericolo di una separazione tra partito e masse, con la formazione di “ultracentralismo da caserma” che avrebbe dato il potere non alle masse ma al comitato centrale. Il partito non doveva sostituirsi alle masse, ma sfruttare e assecondare le loro potenzialità.

 Il capitale di Rosa e la prima grande crisi di civiltà

L’accumulazione del capitale del 1912 è un’opera complessiva e complessa, ancora oggi oggetto di discussioni, critiche e di stimoli che aprono a orizzonti ancora da esplorare. La crisi del capitalismo procede parallela all’estendersi del processo di accumulazione che ha dei limiti, provoca l’imperialismo e le guerre imperialiste. La guerra è la conseguenza logica naturale dell’imperialismo e pone l’umanità di fronte a una drastica prospettiva: rivoluzione o regressione, socialismo o barbarie. Il futuro della civiltà e dell’umanità dipende dal fatto che il proletariato sia capace di fare la rivoluzione in assenza di questa prospettiva si vive sull’orlo della rovina delle classi in lotta, come avevano segnalato Marx ed Engels. Negli ultimi due secoli, l’umanità si è trovata più volte di fronte alla prospettiva di un declino generale della civiltà e sprofondamento nella barbarie. Due guerre mondiali, fascismo, nazismo, costituiscono esempi drammatici del degrado a cui può condurre il capitalismo. Oggi, scrive Nando Simeone, a distanza di cento anni dal suo assassinio, l’umanità si trova nuovamente di fronte al pericolo dell’affermazione della barbarie: guerra, razzismo, misoginia e transfobia, ripresa dell’autoritarismo e delle destre radicali, minaccia della devastazione climatica causata dal produttivismo capitalista.

Viva la rivoluzione russa, ma…

Gioia per la rivoluzione d’ottobre, ma cautela su alcune misure prese dal governo rivoluzionario come l’assegnazione della terra ai contadini, l’autodeterminazione delle nazionalità oppresse e, soprattutto, riserve sulla questione della democrazia e della libertà. Per la Luxemburg era sbagliato limitare libertà e garanzia, anche come misure di emergenza temporanee, perché rendevano difficile l’attività politica delle masse. Col soffocamento della vita politica, sottolineava, anche la vita dei soviet era soffocata. Tuttavia, la rivoluzione russa e il governo operaio e contadino andava sostenuto e difeso estendendo la rivoluzione in Europa. Nel 1918 si impegnò per trasformare il movimento spartachista in un partito centralizzato, riprendendo molti degli argomenti di Lenin. La Luxemburg, insieme a Liebknecht e ai più sperimentati quadri spartachisti, fu messa in minoranza nel congresso costitutivo del Partito comunista di Germania, non solo sulla tattica verso i sindacati o sulla partecipazione alle elezioni, ma anche sulla concezione stessa del partito. Quando nel gennaio del 1919 il partito proclamò l’insurrezione, ella lamentò l’assenza di direzione politica e criticò la posizione assunta da Karl Liebknecht. Poco dopo, il tragico destino lì unì nell’arresto e nell’uccisione.

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