Ancora su Raniero Panzieri e i «Quaderni Rossi» di Diego Giachetti

 

A cent’anni dalla nascita, Raniero Panzieri rimane una delle figure più importanti e limpide nella storia dell’intellettualità militante e del movimento operaio italiano del secondo dopoguerra. Prematuramente scomparso a soli 43 anni, dirigente del Partito socialista, condirettore di Mondo operaio, traduttore assieme alla moglie del secondo libro del Capitale, collaboratore della casa editrice Einaudi, fondatore dei Quaderni rossi, fin dalle sue «Tesi sul controllo operaio», scritte insieme a Lucio Libertini, ha dato un contributo importante alla ripresa feconda di Marx e del marxismo in Italia, nonché al ripensamento della via rivoluzionaria nei paesi a capitalismo avanzato.

Due recenti pubblicazioni, il libro di Marco Cerotto, Raniero Panzieri e i «Quaderni rossi». Alle origini del neomarxismo italiano, per la collana Input di Derive Approdi, e Panzieri, prima durante e dopo i «Quaderni Rossi», a cura di Alessandro Marcucci e Sergio Bianchi, pubblicato nella collana “scavi” della rivista Machina (scaricabile da www.machina-deriveapprodi.com), ripropongono temi e problemi sollevati da un protagonista ancora in buona misura da riscoprire. Quest’ultimo testo presenta due tipologie di materiali. Una riguarda la formazione di Panzieri dagli anni della guerra al suo impegno nel Partito socialista con ruoli di direzione sia culturale che politica. L’altra si concentra sull’ esperienza della rivista Quaderni Rossi, da Panzieri ideata e fondata. Gli autori dei testi in questione, oltre a Panzieri sono: Marco Scavino, Alessandro Marucci, Stefano Merli, Toni Negri. Marco Cerotto invece ricostruisce alcuni dei tratti principali della biografia politico-intellettuale di Panzieri, soffermandosi sui lasciti e sulla sua eredità e mettendo al centro dell’analisi la sua riflessione teorico-politica dal 1956 al 1964, anno della sua morte.

I presupposti di Panzieri

La formazione politica e intellettuale di Panzieri risente, per fare solo due nomi, dell’influenza di Rodolfo Morandi e Galvano Della Volpe, col suo marxismo fuori dal coro togliattiano della linea De Sanctis-Croce-Gramsci e del rigido, quanto sterile, marxismo-catechismo sovietico. Da Morandi gli deriva l’idea della necessità di elaborare una strategia operaia fondata sulla democrazia dal basso, consiliare, a partire dal controllo operaio, che permette di recuperare Rosa Luxemburg e il Gramsci dei consigli di fabbrica. Di qui la necessità di un ritorno in fabbrica, là dove pulsa il cuore del capitalismo, nel suo rapporto diretto fra lavoro vivo e morto, fra capitale variabile e costante. È la Torino-Fiat, laboratorio di uno dei punti più avanzati del capitalismo italiano nel secondo dopoguerra. Sul piano propriamente politico è anche il modo di agire per uscire da sinistra dalla crisi dello stalinismo, apertasi nel 1956, per muovere la ricerca di come si produce la rivoluzione in Occidente, una terza via tra stalinismo, riformismo socialdemocratico e/o di struttura, di togliattiana memoria. Strategia quest’ultima che non prevedeva, secondo Panzieri, un intervento diretto nella sfera produttiva, ed escludeva quindi la rottura rivoluzionaria del sistema, favorendo «soltanto catene più dorate per la classe operaia».

L’uscita da sinistra prevedeva un percorso lungo e non privo di una certa ambiguità. Si trattava di rivitalizzare le organizzazioni storiche e tendere in prospettiva a costruire un nuovo partito operaio. L’idea di fondo era quella di riuscire a tenere insieme l’azione diretta e concreta nel movimento operaio e la critica agli orientamenti di fondo delle organizzazioni sindacali e partitiche. Impresa promossa ma non risolta al momento della nascita dei Quaderni Rossi, dove la questione se agire come gruppo autonomo e, se necessario, in contrasto col sindacato, oppure lavorare in un rapporto di critica e stimolo verso di esso, nel caso della Fiom in particolare, si ripropose.

Da Della Volpe mutuava l’idea che, come Galileo s’impegnò a smontare il sistema concettuale della fisica scolastica -che presupponeva l’esperienza- Marx aveva costruito una sociologia della formazione economico-sociale capitalistica, piuttosto che una aprioristica metafisica del sociale. La ripresa del concetto di formazione economico-sociale, a differenza dei soli rapporti di produzione, includeva il nesso fra fabbrica e società, fra produzione riproduzione sociale, fra sistemi interrelati di modi storici di produzione all’interno stesso del sistema capitalistico. Ne derivava una trattazione innovativa di temi riguardanti il neocapitalismo, l’uso capitalistico delle macchine e della scienza-tecnologia, che spingevano al rinnovamento del marxismo italico.

L’automazione, introdotta allora anche nell’industria italiana, non liberava il lavoro operaio, lo svuotava di contenuto e aumentava il grado di alienazione. La società opulenta migliorava certo la condizione materiale di vita della classe operaia ma, complici i partiti tradizionali della sinistra, comportava l’integrazione della classe lavoratrice nei rapporti di produzione capitalistici. Il “nuovo” capitalismo andava analizzato integrando nel modello marxista alcune delle innovazioni prodotte dalle scienze sociali “borghesi” di quegli anni, proprio come aveva fatto Marx con gli economisti classici del suo tempo. Il ritorno a Marx, quello del Capitale, consisteva in una rilettura alla ricerca di quelle pagine che aiutavano la comprensione della modernità neocapitalistica, del piano del capitale come elemento d’integrazione di sindacati e partiti e anche della conflittualità operaia stessa nello sviluppo dell’industria capitalistica, con la sussunzione reale del capitale variabile al capitale costante. Tuttavia, il lavoro di scavo su Marx rimase in gran parte inconcluso. Le parti riconsiderate si limitarono ai pochi testi di una elaborazione promessa che Panzieri, mancato nel 1964, non poté proseguire.

Com’erano rossi qui quaderni

L’humus dal quale nasce, cresce e si sviluppa l’operaismo, inteso come ritorno all’intervento diretto nelle lotte di fabbrica, è databile nella seconda metà degli anni Cinquanta quando si avvia un processo di rottura ridefinizione della politica che rompe con la tradizione socialcomunista. Nascono riviste che aprono un dibattito a sinistra, tra le quali Quaderni Rossi. Quest’ultima mette assieme persone e personalità con percorsi diversi. A Torino un gruppo di giovani socialisti e Romano Alquati che è in contatto con un gruppo di milanesi, poi ci sono i romani, Mario Tronti e Asor Rosa, e gli agganci coi veneti dove già opera un giovane intellettuale: Toni Negri. Tre componenti maturano nel cuore della rivista: i “sociologi”, attenti ai contributi provenienti dalla sociologia, propensi a usare lo strumento dell’inchiesta nelle fabbriche; i “filosofi” o “politici” romani, con la sofisticata preparazione teorica di Tronti per la scienza marxiana; i “selvaggi”, attivi a Milano e Torino (Alquati, Gobbi, Gasparotto) che propongono la conricerca come strumento di passaggio al lavoro politico autonomo e indipendente.

Per Panzieri e i giovani sociologi, Quaderni Rossi si propone come strumento di critica e inchiesta, per mettere in tensione e trasformare le istituzioni del movimento operaio. L’inchiesta operaia è assunta nella sua dimensione sociologica al fine di conoscere la condizione operaia, mantenendo però la separazione tra produzione della conoscenza e organizzazione, la prima deve essere rappresentata dalla seconda, sindacato o partito che sia. Diversamente la conricerca è qualcosa di più di una declinazione particolare dell’inchiesta, è un metodo di azione politica di base, che ha per scopo la trasformazione della condizione operaia oggettiva in forza soggettiva. Fare conricerca significa inserirsi nella lotta operaia per elaborare assieme ai lavoratori un progetto politico organizzato. Sono impostazioni diverse che portano alla nascita per separazione del gruppo riunito attorno alla rivista «Classe operaia». In senso stretto, l’operaismo inizia con quella rivista, col tentativo di superare la divisione tra l’intellettuale e il militante, tra il sapere e l’agire politico. Due componenti di una stessa generazione, i giovani intellettuali “eretici” e i giovani operai della fabbrica tayloristica, di recente immigrazione e addetti ai lavori dequalificati, provano a incontrarsi mediante l’intervento in fabbrica, scavalcando le intermediazioni sindacali e partitiche. È una scommessa sulle lotte che verranno e sui nuovi protagonisti di queste lotte le cui avvisaglie si colgono negli scontri di Piazza Statuto a Torino nel 1962 e, prima ancora, nei ragazzi dalle «magliette a strisce» nelle strade di Genova nel 1960.

Non è il caso di ricordare in queste poche righe le varie vicende della travagliata vita della rivista che portarono alla divisione del gruppo redazionale, se mai invece è opportuno segnalare, come ha fatto Marco Scavino, che «se il Sessantotto italiano risultò molto più legato alle fabbriche e alle vicende operaie, rispetto ad altre realtà internazionali, fu proprio per il ruolo che vi ebbero questi gruppi (che nelle discussioni dell’epoca venivano a volte indicati, polemicamente, come “operaisti”)». Il lascito di idee e spunti dei Quaderni Rossi fu ripreso, con forme e modalità distinte, da vari gruppi della sinistra rivoluzionaria nati sull’onda delle lotte studentesche e operaie del biennio 1968-69, in primo luogo, ad esempio, Potere operaio, che si presentò fin dall’inizio rivendicando l’eredità dell’esperienza dei Quaderni Rossi, consolidata dalla sistematizzazione fatta da quelli di Classe Operaia la cui elaborazione era presentata come lo sviluppo di un percorso iniziato con Panzieri.

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