“Tutto quello che chiediamo è di dare una possibilità alla pace” (John Lennon)
Mia figlia Elena da oltre quarant’anni vive a Barcellona, dove lavora come psicoterapeuta e psicoanaliata. Negli ultimi mesi ha avuto l’opportunità di connettersi in rete con le sue colleghe ucraine.. Le ho chiesto di spiegare cosa ha tratto da questa esperienza. Ecco cosa mi ha scritto.
UN’ESPERIENZA DI ASCOLTO E CONDIVISIONE
Gruppi di incontro clinico
Nel mese di giugno, ormai a quattro mesi dall’inizio della guerra, il Committee on Child and Adolescent Psychoanalysis (COCAP) dell’Associazione Internazionale di Psicoanalisi (a cui appartengo attraverso la Società Spagnola di Psicoanalisi) propose ad alcuni analisti di diversi paesi di partecipare ad un progetto di appoggio ai colleghi ucraini che si trovavano, con i loro piccoli pazienti, immersi nel dramma della guerra. Si trattava di formare dei gruppi di supervisione, cioè di riflessione e di sostegno nel lavoro clinico. Si formarono quattro gruppi, che stanno ancora lavorando con riunioni settimanali di un’ora e mezza. Ogni gruppo di una decina di psicoterapeuti ucraini si riunisce con uno o due colleghi di altri paesi europei.
Per me è un’esperienza difficile, appassionante e molto triste. In Ucraina, alcune colleghe hanno continuato a vivere nelle loro città e altre sono emigrate all’ovest del paese o all’estero. I piccoli pazienti, con le loro famiglie, si sono trovati nella stessa situazione: da parenti all’estero, in campi di profughi o nelle loro case, spesso nascosti e terrorizzati. Gran parte del lavoro terapeutico in tempo di guerra ha comportato fare le sedute con i pazienti on-line, per le distanze o per l’impossibilità di raggiungere lo studio o l’ospedale per il pericolo che rappresentava andare per strada.
Io non ho vissuto una guerra e le guerre dei ‘miei paesi’ (Italia e Catalogna) sono ormai lontane nel tempo. Ho sentito meraviglia e ammirazione per il modo come le colleghe continuano a vivere e a lavorare sotto la pioggia di missili o lontane da casa, coinvolte nello stesso dramma delle persone che cercano di aiutare con lo strumento della psicoterapia. Quelle che non sono emigrate vivono in città molto colpite dalla guerra, nei diversi momenti di questo anno terribile. Quelle che sono esiliate lontano da casa soffrono per quello che succede nel paese e per la lontananza dalle persone amate. Spesso i nostri collegamenti si interrompono per una caduta dell’elettricità; molti giorni di questo inverno freddo le vedo avvolte in uno scialle perché non c’è riscaldamento.
Ma soprattutto mi colpiscono i loro racconti, le presentazioni cliniche che condividiamo.
A volte mi mandano il resoconto di un caso in russo o ucraino; io lo traduco con google e una traduttrice ci accompagna a ogni incontro per tradurre in inglese e dall’inglese i nostri commenti. Tutte le colleghe hanno competenza linguistica sia in ucraino che in russo. Non si tratta, in generale, di famiglie che chiedono aiuto in relazione con i traumi della guerra: spesso questi si sovrappongono ad altre situazioni familiari e vitali difficili e alcune terapie erano cominciate già tempo prima.
Ho ascoltato le storie di bambini che hanno vissuto nascosti in città occupate dai soldati di Putin, che sono riusciti a scappare lungo percorsi disseminati di cadaveri. Rifugiati in altre città, con le sirene che avvisavano dei bombardamenti. Bambini che non riuscivano più a parlare o a mangiare o a dormire, che piangevano e non volevano rimanere da soli in nessun momento, che si facevano la pipì addosso dalla paura.
Famiglie divise, perché uno dei genitori doveva restare in zona di guerra per lavorare, o perché il papà era stato arruolato. Talvolta i figli vengono mandati all’estero da soli, a casa di qualche parente. Vengono rotti tutti i legami affettivi anche con la scuola e gli amici. La scuola, quando si può, continua con l’insegnamento a distanza, altre volte in presenza ma soggetta a continue interruzioni. Le nuove sistemazioni abitative in generale sono inadeguate, con molte persone che vivono nella stessa stanza, senza spazio per giocattoli o libri, che comunque sono rimasti nella casa di origine. Le famiglie passano periodi in cui non sanno cosa è successo ai loro cari o alla loro casa.
Queste vicende, la paura e la sofferenza si riflettono nel silenzio o nelle parole dei piccoli pazienti, o nel gioco in cui rappresentano situazioni di guerra e di violenza estreme.
Non sempre tutte le colleghe possono essere presenti agli incontri perché si interrompe internet o manca l’elettricità. Ma potersi trovare nel gruppo, in cui ci conosciamo sempre meglio e dove si condividono le esperienze, aiuta ad avere la forza di andare avanti. A volte è difficile trattenere le lacrime. Ci vorranno decenni per ricostruire le città e le infrastrutture, ma ci vorranno generazioni per rimarginare i traumi vissuti.
Io ho la speranza di poter andare a trovare le mie coraggiose e tenaci colleghe a guerra finita.
UNA VOCE FUORI DAL CORO
Cerco di capire come si è giunti a questa disastrosa e drammatica situazione. in seguito all’aggressione della Russia all’Ucraina Non certo per giustificarla: qualunque siano le motivazioni addotte da Putin, la sua decisione di invadere il Paese vicino è da condannare.
In letteratura e in rete, sommerse dalle notizie su attacchi e contrattacchi, sui lutti e sui crimini, sulle immani distruzioni, si trovano anche informazioni e commenti utili a questo scopo; si tratta di individuare quelle fondate e attendibili.
Qui mi limito a valutare il ruolo giocato dall’estensione della NATO (l’Alleanza Atlantica) fino ai confini della Russia.
L’ALLARGAMENTO DELLA NATO
Dopo il crollo del Muro di Berlino (1989) l’Ucraina proclamò la sua indipendenza dall’URSS (24 agosto 1991) la Russia, sotto il governo di Gorbacev, acconsentì alla riunificazione della Germania e alla sua adesione alla NATO e ritirò i 340.000 soldati sovietici dalla DDR; chiese in cambio che la NATO non si estendesse ulteriormente verso Est. Il 31 gennaio 1990 il Ministro degli Esteri tedesco, Genscher dichiarò che la NATO “non si sarebbe avvicinata ai confini dell’Unione Sovietica”; il 5 febbraio il Segretario di Stato americano James Baker promise che la NATO “non avrebbe espanso di un centimetro la sua sfera di influenza verso Est” e concordò con Gorbacev che qualunque estensione dell’area occupata dalla NATO era inaccettabile.
In un’intervista al Daily Telegraph (7 maggio 2008), Gorbaciov, ultimo leader dell’Unione sovietica, disse che Helmuth Khol gli aveva assicurato che la Nato «non si muoverà di un centimetro più a est».
Der Spiegel riporta che, nei colloqui avvenuti tra il 1990 e il 1991 tra i rappresentanti dei quattro paesi occidentali (Usa, Gran Bretagna, Francia e Germania Ovest), di fronte alla richiesta di alcuni paesi dell’Est Europa di entrare nella Nato, Polonia in testa, concordarono nel definire «inaccettabili» tali richieste. Il diplomatico tedesco occidentale Juergen Hrobog disse: «Abbiamo chiarito durante il negoziato 2+4 che non intendiamo fare avanzare l’Alleanza atlantica oltre l’Oder. Pertanto, non possiamo concedere alla Polonia o ad altre nazioni dell’Europa centrale e orientale di aderirvi».
Il rappresentante degli Stati Uniti, Raymond Seitz, dichiarò: «Abbiamo promesso ufficialmente all’Unione sovietica nei colloqui 2+4, così come in altri contatti bilaterali tra Washington e Mosca, che non intendiamo sfruttare sul piano strategico il ritiro delle truppe sovietiche dall’Europa centro – orientale e che la Nato non dovrà espandersi aldilà dei confini della nuova Germania né formalmente né informalmente».
Nel marzo 1991, il primo ministro britannico John Major promise, durante una visita a Mosca, che
l’adesione alla Nato di Paesi come Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca “era fuori questione”.
Jack Matlock, ambasciatore americano a Mosca dal 1987 al 1991 in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera del 15 luglio 2007 afferma:. “Quando ebbe luogo la riunificazione tedesca, noi promettemmo al leader sovietico Gorbačëv – io ero presente – che se la nuova Germania fosse entrata nella Nato non avremmo allargato l’Alleanza agli ex Stati satelliti dell’Urss nell’Europa dell’Est. Non mantenemmo la parola. Peggio: promettemmo anche che la Nato sarebbe intervenuta solo in difesa di uno Stato membro, e invece bombardammo la Serbia per liberare il Kosovo che non faceva parte dell’Alleanza”.
Promesse dello stesso tenore erano state fatte a Mosca anche dai rappresentanti britannico e francese.
IMPEGNI E PROMESSE TRADITI
Come spiega Ted Galen Carpenter sul Guardian, nonostante le promesse fatte ai leader russi alla fine della Guerra Fredda, l’amministrazione di Bill Clinton aveva già deciso nel 1993 di fare pressione per inglobare alcuni Paesi dell’ex Patto di Varsavia nella NATO
La Nato inizia la sua espansione a Est. Ingloba i primi tre paesi dell’ex Patto di Varsavia: Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria (1999). Quindi, nel 2004, si estende ad altri sette: Estonia, Lettonia, Lituania (già parte dell’Urss); Bulgaria, Romania, Slovacchia (già parte del Patto di Varsavia); Slovenia (già parte della Federazione Jugoslava). Nel 2009, la Nato ingloba l’Albania (un tempo membro del Patto di Varsavia) e la Croazia (già parte della Federazione Jugoslava); nel 2017, il Montenegro (già parte della Jugoslavia); nel 2020 la Macedonia del Nord (già parte della Jugoslavia) In vent’anni, la Nato si estende da 16 a 30 paesi.
Tra gli stati che ambiscono a far parte della NATO ci sono la Bosnia ed Erzegovina, la Georgia e l’Ucraina. Quest’ultima ha presentato domanda per aderire nel 2008 e da allora ha lavorato, a fasi molto alterne, al raggiungimento dei prerequisiti in termini di capacità militari e politiche di difesa richiesti. Nel 2010 i piani furono messi da parte dopo la vittoria alle presidenziali del candidato filorusso Viktor Yanukovich, e ripresi dopo il 2014, anche in seguito alla alla annessione della Crimea alla Russia.
Infine, al vertice NATO di Bucarest, nel documento conclusivo (3 aprile 2008) si afferma che la NATO “accoglie le aspirazioni euroatlantiche di Ucraina e Georgia di entrare a far parte dell’Alleanza la quale oggi ha deciso che esse ne divengano membri”.
Nel 2014 in Estonia, presso Amari, una nuova base aerea della NATO si è aggiunta a quella presso la città lituana Siaudai. Nel 2016 la NATO ha acconsentito al dispiegamento di battaglioni multinazionali nei tre paesi baltici. Il numero di truppe alleate è cresciuto fino a quasi 10.000 unità nel 2022.
Guerra fredda, intrinsecamente diretta contro il loro paese. Sottolineano di aver sciolto il Patto di Varsavia, la loro alleanza militare, e si chiedono perché l’Occidente non facesse fare lo stesso”
Significativo è il commento di Papa Francesco che ha detto, in una intervista al Corriere della Sera (maggio 2022): «Cosa ha scatenato questa guerra? Probabilmente l’abbaiare della Nato alla porta della Russia… Un’ira che non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse sì».
Come reagirebbero gli Stati Uniti se ai loro confini, Massico e Canada entrassero in un’alleanza militare con la Russia o con la Cina? Ricordiamo che nel 1982 si è rischiato un conflitto nucleare perché l’URSS stava installando a Cuba, in risposta ai missili USA in Europa, missili nucleari a medio raggio. Ma Krusciov e Kennedy erano più saggi di Putin e Zelensky.
Da qui le contromosse di Putin: la guerra in Georgia, l’occupazione della Crimea, l’appoggio ai separatisti del Donbass, lo schieramento di oltre centomila soldati al confine con l’Ucraina, infine l’aggressione militare.
Tre mesi prima dell’invasione il Direttore della CIA William Burns e l’Ambasciatore in Russia John Sullivan incontrarono a Mosca Nicolai Petrushev, consigliere di Putin, e lo informarono di essere a conoscenza dei piani di invasione e che l’Occidente avrebbe reagito con gravi conseguenze per la Russia. Invano, Putin proseguì con i suoi piani. I due diplomatici informarono Joe Biden e in seguito gli Stati Uniti ammonirono il mondo che la Russia avrebbe attaccato l’Ucraina.
Il conflitto odierno in Ucraina, senza voler giustificare l’invasione, è dunque – anche – il frutto di 30 anni di incomprensioni, mancate promesse, diffidenza reciproca.
Così si è giunti al dramma della guerra, con i suoi lutti e le immani distruzioni, a una posizione di stallo dalla quale non si vede l’uscita.
(l’immagine. Espansione verso est della NATO, è tratta da: Limes, n. 10/19, Il muto portante)
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