Cambiamenti di scenario su scala mondiale di G.B. Zorzoli

 

Il nuovo governo Lega-M5S nasce lo stesso giorno in cui Trump annuncia i dazi sull’import di acciaio e alluminio. Una coincidenza che conferma come non esista un’anomalia italiana, bensì un cambiamento di scenario su scala mondiale.

In assenza di una risposta alternativa alla crisi della globalizzazione governata dalla grande finanza internazionale, di cui hanno pagato lo scotto tutti i tradizionali partiti di sinistra, sta prevalendo l’unica che, con declinazioni diverse, è stata avanzata: il ritorno alla difesa degli interessi nazionali.

Il continuo richiamo all’importanza di non mettere in discussione il legame con l’Unione europea, che ha percorso il dibattito sulla soluzione da dare alla crisi post-elettorale, sarebbe stato infatti più convincente, se accompagnato da una approfondita riflessione sullo stato dell’Unione, non meno critico, e per cause analoghe a quelle che hanno terremotato gli equilibri politici italiani.

A presiedere l’UE abbiamo l’ex-capo di governo del Lussemburgo. Come se un’ipotetica Unione Italiana fosse guidata da un esponente politico di San Marino, staterello analogo per dimensioni e disinvoltura finanziaria. Öttinger ci delizia con le sue gaffe a Bruxelles, perché il governo tedesco l’ha spedito lì per porre fine agli imbarazzi che le esternazioni del nostro gli procuravano all’interno del paese. Bruxelles utilizzata come discarica, non diversamente di quanto avviene con paesi sottosviluppati per liberarsi di rifiuti tossici.

Se da Bruxelles allarghiamo lo sguardo agli Stati membri, la situazione non è più incoraggiante. L’Austria ha oggi un governo di orientamento affine a quello dei paesi appartenenti al gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia): estremismo nazionalistico, repressione verso gli immigrati e il dissenso interno. A inizio marzo un gruppo di paesi dell’Europa settentrionale — Olanda, Danimarca, Finlandia, Svezia, Irlanda, insieme a Estonia, Lettonia e Lituania – ha scritto una lettera in cui, oltre a una ferma opposizione al rafforzamento di politiche di bilancio comunitarie, si sottolinea apertamente come i processi decisionali debbano rimanere fermamente nelle mani degli Stati e nel pieno rispetto delle opinioni pubbliche nazionali. In altre parole, viene reclamata senza giri di parole una governance esclusivamente intergovernativa dell’UE.

In tre anni la Spagna torna per la terza volta alle elezioni. La Francia è scossa da scioperi e manifestazioni studentesche che, per dimensioni e durata, non si erano più viste dopo il maggio ’68. Con Macron alla disperata ricerca all’estero di riconoscimenti e successi che compensino le difficoltà interne, senza però trovare interlocutori disponibili, nemmeno nel tradizionale partner tedesco. Un rifiuto a svolgere il ruolo che gli spetta come principale stato dell’Unione, che dovrebbe preoccupare anche noi. A colpirmi maggiormente non è stato infatti il florilegio di commenti sulla situazione italiana da parte di esponenti politici di altri paesi, bensì, fino alla costituzione del nuovo governo, l’ostinato silenzio di Angela Merkel, la cui principale preoccupazione sembra essere quella di evitare qualsiasi mossa che possa mettere a repentaglio il suo quarto e ultimo cancellierato. D’altronde, la situazione economico-finanziaria, quindi anche politica, della Germania è meno brillante di quanto possa sembrare. Anche lì, mettendo insieme Alternative für Deutschland, la CSU bavarese e una parte non piccola della CDU, l’orientamento di chi ha votato l’anno scorso in Germania non è molto diverso da quello di chi si è espresso il 4 marzo in Italia.

Era quindi nell’ordine naturale delle cose che le due forze politiche premiate dall’esito elettorale trovassero un’intesa per governare il nostro paese. Costrette a farlo insieme da una legge elettorale che aveva un solo obiettivo, impedire a una di loro (M5S) di avere in Parlamento un numero di seggi che le assicurasse la leadership.

Non sarà facile rispondere alle aspettative di chi le ha votate, che in comune ha solo l’incazzatura contro le politiche dei precedenti governi e dell’Unione europea, ma esprime esigenze derivanti da situazioni individuali e sociali non omogenee. Per di più, in una situazione disastrosa delle finanze pubbliche, con troppi partner europei poco propensi a darci una mano e senza il tradizionale ombrello protettivo degli Stati Uniti.

La composizione del governo riflette questo stato di cose. La presenza, a partire da Conte, di sette persone non elette, di cui due a capo di dicasteri particolarmente importanti (Economia e Affari Esteri), e l’assegnazione ai leader di Lega e M5S rispettivamente degli Interni e del super ministero dello Sviluppo economico, Lavoro e Politiche sociali, cioè delle leve di comando per l’attuazione di un obiettivo nel primo caso – immigrazione – qualificante per la Lega, nell’altro – reddito di cittadinanza – per il M5S, mette in evidenza una ripartizione di compiti inedita. Da un lato, si tende a rassicurare l’Europa e i mercati, dall’altro non si rinuncia all’attuazione di alcuni obiettivi programmatici.

Funzionerà? A complicare qualsiasi previsione si aggiunge l’evidente diversità geografica e sociale di chi ha votato per Lega e M5S. Per rappresentarla, seppur in modo rozzo, non si può non fare riferimento a due parole che sembrano, ma non sono desuete: destra e sinistra.

(Pubblicato da alfadomenica, il 3 giugno 2018)

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