GAS E NUCLEARE ALL’ATTACCO: DESTRE CONTRO GREEN DELL’ UE di Mario Agostinelli

 

PREMESSA: IL CLIMA NELL’ARENA DEL VOTO EUROPEO DEL 2024

Lunedì 5 Giugno 2023 la Giornata mondiale dell’Ambiente; tre giorni dopo la Giornata mondiale degli Oceani. In mezzo, catastrofi locali senza sosta, mostrate dalle televisioni in contemporanea in ogni casa, ad indicare un equilibrio infranto: l’atmosfera di New York e Washington infuocata dalla fuliggine degli incendi in Canada, con a rimorchio la rottura della diga Khakovka che allaga la pianura Ucraina, e ricorda le immagini dell’alluvione che ha sommerso la Romagna. E, a fine maggio, oltre ventimila cetacei spiaggiati sulle rive tra il Mar nero e quello di Azov: non solo trafitti da esplosioni e munizioni, ma in gran parte inabili a tornare in superficie per respirare in un’area dove un giorno di guerra equivale alle emissioni di CO2 della provincia di Bologna.

Eppure, le destre hanno deciso di cavalcare alle prossime elezioni europee il disagio che proverrà ai cittadini dal cambio profondo di paradigma richiesto dalle istituzioni di Bruxelles e Strasburgo per frenare gli effetti del cambio climatico. Lo si è capito il 12 Giugno, quando il voto sul regolamento per il «ripristino della natura». per almeno il 20% delle zone degradate entro il 2030 ha visto la nuova destra dell’UE allargare le sue alleanze sul rifiuto del Green Deal. Una montagna di emendamenti (2500) al di là del tempo massimo previsto, non ha permesso infatti di arrivare alla conclusione dell’iter del provvedimento, che non sarà per niente scontato nella sessione plenaria. Il regolamento sul ripristino della natura fa parte del Green Deal europeo e dell’impegno di raggiungere la neutralità nelle emissioni di CO2 nel 2050. In pratica, significa estendere anche all’agricoltura e all’allevamento intensivo l’obiettivo già imposto all’energia, ai trasporti, all’industria. La destra, quindi, cerca di costruire non solo sul rigetto dell’immigrazione, ma anche sul freno alle regole ambientali l’alleanza prossima con l’estrema destra (a cominciare dall’Ecr di cui fa parte il partito di Meloni).

L’attacco congiunto dei conservatori e delle estreme si esplicita su due fronti, Da una parte, come argomenta Nicola Porro sul suo blog, ci si ispira all’ex ambientalista Jonatan Franzen, che spiega che una guerra senza quartiere contro il cambiamento climatico avrebbe avuto senso solo finché era possibile vincerla, cominciando ad agire per bloccare con determinazione le emissioni 30-40 anni fa. Ora, invece di sostenere il costo spaventoso di una battaglia data per persa, basterebbe fronteggiare le conseguenze dello squilibrio in corso con ogni sforzo possibile di mitigazione, tenendo conti del ricorso a misure di geoingegneria, al di fuori dei principi di precauzione. Con un abile capovolgimento sono gli ambientalisti ad assumere la veste di imputati, accusati di volgere a favore della riconversione che propongono gli appetiti economici che rimarrebbero invece saldamente in capo alle lobby fossili.

Dall’altra parte, si enfatizza il prezzo da pagare alla transizione ecologica scostandosi

dal tenore di vita abituale, a causa dei costi richiesti dalle norme sulla Casa Green, dal blocco delle auto a benzina e diesel, dalla riduzione dei fertilizzanti: tutte questioni concrete che riguardano la vita quotidiana. Insomma: il target zero emissioni evocherebbe il timore di un costo iniquo, che si può rimuovere solo se le privazioni verranno effettivamente compensate da benefici, che le destre si affrettano a svilire o a ritenere troppo lontane nel tempo rispetto alla generazione che ne paga il prezzo.

I partiti conservatori hanno già aperto la campagna elettorale tra le organizzazioni agricole, tra gli allevatori e persino all’interno di sindacati nei settori in cui più urgente è la necessità di una riconversione professionale e produttiva. Le destre, per la verità, agitano timori che possono avere riscontro popolare se vengono soltanto superficialmente irrisi.

Il pianeta va salvato, ma serve un enorme sforzo culturale e politico per spiegare alle persone come ci si può riuscire, altrimenti prevale una corsa al precipizio e alla selezione: un’opzione che prende corpo in una generazione che vede combattere 266 guerre sparse per il pianeta – se non ai propri confini – e che vede sparire senza soccorso migliaia di migranti climatici. La Terra non sarebbe più abitabile per tutti i suoi abitanti.

Se la partita – come teme Giannini in un suo editoriale sulla Stampa– fosse tra la sinistra che predica e vieta e la destra che pratica e protegge, il match risulterebbe quasi scontato. A questo punta il governo Meloni, quando ritarda ogni decisione sul piano energetico, propone l’hub europeo del gas e non sblocca affatto i progetti per le rinnovabili e l’elettrico, sopportando che la manifattura italiana brancoli in una crisi inedita a cui è preclusa la soluzione della riconversione ecologica. La vicenda ex-KGN è da questo punto di vista esemplare.

Civitavecchia invece ha innescato un processo virtuoso facendo maturare dal basso una soluzione di sostituzione della prevista centrale a turbogas progettata nel PNIEC con una rete di pale eoliche galleggianti a 35 Km dalla costa e una dotazione di pannelli solari, idrogeno verde e accumulatori sulle banchine del porto. Qui è maturata una soluzione che all’efficienza ha contrapposto la sufficienza e la salute e che non potrà che far convergere le forze progressiste e perciò più sensibili alla crisi climatica.

 

SCIENZA E POLITICA GUARDANO AL FUTURO CON OCCHI DIVERSI

In una fase storica tanto lancinante da attribuire una categoria geologica al trascorrere di pochi decenni di presenza umana sul Pianeta –non molto più di un secolo a scavalcamento del secondo millennio si definisce, appunto, Antropocene – ci si rammarica dello scarso fervore con cui il complesso dell’intellettualità del mondo italiano e, più in genere, occidentale si spende per la pace e la giustizia climatica e sociale. Sono in effetti l’ubiquità di un giornalismo mediocre e la ridondanza di cui esso riempie ogni ora del giorno ad orientare, attraverso la potenza di media sempre più agguerriti, valutazioni rassicuranti e responsabilità indulgenti sulle grandi emergenze che incombono sul pianeta. Anziché introdurre ragionate interpretazioni per ampliare l’orizzonte culturale dei cittadini e arricchire la funzione della democrazia partecipativa, si rincorrono ragionamenti illogici, che prendono il sopravvento su quelli logici, dando solo di tanto in tanto la parola a riflessioni di prospettiva sotto il tono svilito dell’atipicità, dell’anomalia o della illegittima contrapposizione. Si pensi alla contorta polemica sulle performance di Ultima Generazione. Eppure, il mondo degli intellettuali va complessivamente elaborando una posizione in evoluzione, con maggior capacità di ascolto e in crescente raccordo con l’opinione pubblica, nonostante una rimarchevole contraddizione al proprio interno: è il mondo della scienza rispetto a quello dell’umanesimo che acquista crescente affidamento e credibilità, oltre a spendersi con la consapevole drammaticità richiesta da un tempo che viene a mancare. Sfortunatamente, in un sistema liberista e politicamente prono  verso il moderatismo delle destre,  il mondo della comunicazione si è privato dell’autonomia che gli dovrebbe appartenere, fino a sottovalutare, se non addirittura ad offuscare, le prese di posizione più allarmanti Vero è che l’interesse prevalente è banalmente  richiamato  sulla la notizia del giorno, che sposta immancabilmente quella del giorno precedente, o su narrazioni intime e popolari, certo preziose dal punto di vista identitario o locale, ma restie a portare alla luce i processi di autentico sconvolgimento e di lungo periodo della fase in corso. Questi ultimi si collocano al fondo dei rapporti sociali e delle relazioni con la natura, che la classe dominante continua a sottovalutare come se abitassimo una semplice continuazione del Novecento o. al più, della guerra fredda, privata di ogni risvolto che non fosse semplicemente geopolitico. (A proposito, durante la santificazione di Berlusconi, si è mai dato cenno ad un suo pensiero o azione in qualche modo rivolti al clima o al corrompimento della biosfera o alla carenza d’acqua o all’indigenza di 5 miliardi di umani?)

Il problema della scarsa comunicabilità esistente tra scienziati e letterati si traduce quasi in una spartizione di raggi d’azione: mentre la ricerca scientifica e tecnologica detiene una grande influenza nello sviluppo sociale e conoscitivo delle comunità locali, la cultura umanistica domina le scelte di carattere politico. Pertanto, dobbiamo prendere in considerazione una questione più profonda e strutturale, strettamente connessa alle modalità con cui la globalizzazione capitalista ci ha condotti al rischio della fine della storia e per cui non c’è da aspettarsi grandi sussulti nel mondo letterario e umanista, tranne poche eccezioni. La condizione umana, per la gran parte delle classi politiche attuali, è vista per lo più come un’esperienza singolare ed esistenziale da chi ha una formazione da letterato o come riflesso di proiezioni o analisi statistiche di eventi che riguardano le scadenze più vicine da parte di economisti e di sociologi. Condizione che è invece sempre più strutturalmente analizzata dagli uomini di scienza come argomento collettivo e sociale, in simbiosi con il resto del vivente e come problema della specie, collocato nello spazio e nel tempo futuro, anche il meno immediato. C’è – se posso definirlo tale – un diverso approccio riguardo allo spazio e al tempo. Gli scienziati, infatti, stanno elaborando, con autentiche rivoluzioni concettuali e in coincidenza con il ritmo accelerato dell’Antropocene, una minuziosa storicizzazione dal Big Bang ad ora  – dai primi miliardesimi di secondo ai 14 miliardi di anni attuali – della nascita dell’universo, della comparsa della materia e dell’energia e, infine, della nascita della vita e della sua evoluzione entro i limiti fragili della biosfera, fino a metterne in conto, da osservatori coscienti, anche la estinzione, se il mondo artificiale arrivasse a minare alla base i cicli naturali.

Date queste considerazioni, si può cogliere una più scontata convergenza di intellettuali di cultura scientifica che abbracciano e si nutrono, ovviamente, della scienza più recente, della storia, della filosofia, dell’arte e della letteratura, per reperire orizzonti adeguati alle sfide future, svincolandosi da un presente che si ripete senza rotture nella perversa convinzione che non ci sia spazio per tutti sul Pianeta. La dimensione globale di questo approccio, scientifico e umanista insieme (negazionismo a parte) dà segno di voler superare anche il nazionalismo dilagante, per trovare risposte omogenee, che dal locale arrivino al globale. Quindi, se le leggi della natura – come oggi la descriviamo – agiscono nel nostro cervello, siamo profondamente integrati ed è più facile che sia lo studio della fisica o della biochimica a relazionarsi con le passioni e i timori riguardo il  nostro destino o con la distorta psicologia dei decisori politici Dobbiamo, insomma, liberarci di un pregiudizio culturale: i primi a farlo, a misura popolare, sono stati Bergoglio e Greta, che hanno messo le ali ad un pensiero che già spirava, e l’hanno suffragato di motivazioni che nessun religioso o leader studentesco aveva così intensamente introiettato. Purtroppo, a distanza di un decennio e col passare del tempo, un messaggio così prorompente è sempre più esposto all’attacco delle destre, negazioniste e ostentatamente nemiche dell’ecologia integrale, cui contrappongono il mito di una crescita a qualunque prezzo, scandendo i tempi della transizione con il supporto della potenza energetica non inesauribile fornita dai fossili creati miliardi di anni addietro dall’attività del Sole sulla Terra.

Ma la realtà non è come ci appare: non lo è, almeno nelle dimensioni infinitamente piccole ed estremamente grandi a cui accedono la nuova fisica, la chimica, la biologia o le neuroscienze ed in cui operano gli strumenti scientifici di conoscenza e di comune apprendimento, che vanno oltre la percezione dei nostri sensi ed hanno le loro fondamenta in un modello di spazio e tempo granulari e per nulla assoluti. In questo modello, sconosciuto ai tempi di Galileo e Newton, la potenza dell’energia concentrata paga un prezzo elevatissimo di smaltimento nel tempo e nello spazio della biosfera, sia a livello locale che globale, e l’abbandono dei fossili e del nucleare richiede una riflessione sull’intero ciclo di vita di tali fonti ed una conoscenza molto accurata degli effetti che l’ambiente naturale e sociale è in grado di sopportare. Tra i contemporanei esistono diversi paradigmi del modo di pensare al futuro dell’umanità e chi è in ritardo irrecuperabile è purtroppo chi decide e domina un presente con un futuro assai precario. Se si guarda il mondo con occhi diversi – e la scienza attuale lo sta facendo -cambia tutto: la nostra cultura, l’arte, la spiritualità e la politica.

 

MENO VELOCITA’: SUFFICIENZA ENERGETICA E MINORE POTENZA

Ho già considerato in un precedente articolo su questa rivista gli effetti della guerra e delle armi sulla degradazione del clima e della biodiversità. Qui vorrei riflettere più in dettaglio sulle ragioni di fondo per cui, anche in tempo di pace ed in uno scenario di crescita continua, il degrado dell’ambiente naturale verrebbe portato allo stremo, in particolare per gli eccessi e gli sprechi nel settore energetico. Il mondo scientifico sta focalizzando l’attenzione sull’inarrestabile crescita di potenza richiesta per la costruzione e l’uso di manufatti considerati protesi artificiali obbligatorie dalla popolazione mondiale più abbiente. La velocità di erogazione di energia fornita dai fossili e dal nucleare, che oggi continuano a dominare gli scenari politici – peraltro esasperati dal sempre più frequente ricorso alle armi -è assolutamente incompatibile con la velocità di smaltimento delle emissioni gassose e delle particelle inquinanti che una natura amica. possa tollerare.  Il danno ambientale si riproduce in tempi tanto più lunghi quanto più elevata è la potenza incorporata nell’intero ciclo di vita dei prodotti che vengono consumati. I meccanismi di trasformazione sono complessi e danno spesso luogo a processi non lineari, producendo accumulazioni ineliminabili, eventi catastrofici, corrompimento di catene vitali anche a lunga distanza. Di conseguenza ed inevitabilmente, occuparsi di scienza dell’energia richiede una predisposizione interdisciplinare, che ricombina scienza e umanesimo, suggerendo anche alla politica un superamento della preparazione ambientale e della visione sociale di derivazione newtoniana, che contemplava fra i suoi attrezzi una geopolitica incardinata sulle armi ed una democrazia liberale fondata sulle identità nazionali e su confini presidiati da alleanze militari, incurante del limite di precauzione esteso all’intero pianeta vivente, antropocentrica rispetto al vivente, predatrice nei confronti delle risorse ambientali. La democrazia sociale della nostra Costituzione ha perso peso in questa lunga contesa con il liberalismo.

Occorre però prendere atto di come un crescente numero di climatologi, fisici, chimici, biologi, neuroscienziati si ritrovino a dar vita ad appelli collettivi, tanto realisti quanto argomentati, come quelli recenti che vengono dal CNR e da 30 Premi Nobel. Sono un antidoto al negazionismo ed il riconoscimento che la materia ha radici molto profonde: non riguarda infatti solo materiale arido o inerte, ovvero qualcosa di diverso rispetto a quello che siamo noi, che implicitamente ci riteniamo composti di una sostanza – la materia animata – che non ha a che fare con quella ordinaria, a cui invece siamo da sempre connessi. Capiamo ora che anche tra religione e scienza si è creato uno spazio nuovo – che definirei con l’ossimoro di materialismo spirituale – per cui il destino e l’operato del genere umano non si perde con la propria morte, ma si consegna con le sue opere, le sue conquiste, i suoi fallimenti alle nuove generazioni. Credo che certi pregiudizi vengano a cadere proprio con i nuovi modelli con cui si interpretano l’energia, i suoi limiti di potenza, le particelle che fanno parte del nostro corpo dopo essersi formate miliardi di anni fa e aver attraversato infinite cosmogenesi, fino ad essere osservate da esseri coscienti che potrebbero perfino dar fine alla storia. Già Bertrand Russell and Albert Einstein pensavano che le armi nucleari avrebbero potuto distruggere la specie, anche se poi hanno reagito in modo diverso: Einstein tornò nel suo ufficio all’Institute for Advanced Studies di Princeton e lavorò alle teorie di campo unificate. Russell, d’altra parte, è uscito per le strade, mentre ora quei timori non si affidano più solo al prestigio di singole personalità, ma si manifestano in petizioni ed eventi che associano l’autorevolezza del sapere con l’obbiettivo dell’azione al cambiamento, organizzando eventi aperti che contribuiscono al discorso pubblico che per la gran parte si svolge sui canali della rete e che tocca l’aspetto individuale oltre che collettivo della conversione all’ecologia integrale. Crescono contributi e progetti locali o a più ampia destinazione che affrontano più emergenze concomitanti e fanno proprio il monito di Russell di impedire che l’umanità sia solo “un incubo passeggero; altrimenti col tempo la Terra tornerà ad essere incapace di sostenere la vita, e solo così la pace tornerà”. La descrizione appena sopra accennata è la volgarizzazione di un testo di Baggott, uno dei candidati al Nobel: “In definitiva noi siamo solo il prodotto evolutivo di un universo nato 14 miliardi addietro e tutto è in esso interconnesso. Abbiamo alle spalle fenomeni che solo ora riusciamo a comprendere e che sembrano finalizzati a dar modo che si verifichi la possibilità di avere coscienza, di osservare e di operare in libero arbitrio”. Noi, che “Siamo tutti polvere di stelle” (Laudato Sì) entriamo in una nuova fase politica in cui l’emergere della biosfera e l’attenuarsi dell’antropocentrismo come risultato del progredire della conoscenza, danno vita a nuove aggregazioni e potenze di pensiero in cui non c’è posto per l’ingiustizia sociale e che dovrebbero sostenere gli uomini e le donne nell’anticipare la politica ancorata alla vecchia visione, producendo anche una resistenza intellettuale alla deriva del nazionalismo, che ha individuato negli ambientalisti e nei pacifisti i peggiori nemici.

Sylos Labini, Rovelli e Pasini nonché Montanari, per fare nomi italiani, hanno pubblicamente aperto una polemica su queste interpretazioni della società umana con le destre che stanno al governo. Un discorso aperto, che va ripreso e socialmente irrorato delle condizioni reali che si vivono allo studio, al lavoro, al mancato godimento di tempo proprio e che dovrebbe essere di sprone alla riaggregazione di una sinistra e di un sindacato che non possono che essere radicali, a partire dall’ecologia, dall’orario di lavoro e dal ripudio della guerra, anche sotto la forma dell’invio di armi ai cobelligeranti.

In definitiva, una società compatibile con l’ambiente non può essere affrontata solo con una razionalizzazione intelligente dei mezzi e una saggia limitazione degli obiettivi. In altre parole, la rivoluzione dell’efficienza applicata alla potenza rimane cieca se non è accompagnata dalla rivoluzione della sufficienza.

 

EMERGENZA CLIMATICA: UN CANCRO OLTRE IL CAPITALISMO

Il rapporto più recente dell’IPCC pubblicato nel marzo 2023 avverte che il riscaldamento globale supererà il limite di 1,5 gradi centigradi entro il 2040 e lancia l’allarme che si sta rapidamente chiudendo una finestra di opportunità per garantire un futuro vivibile e sostenibile per tutti, prevedendo un riscaldamento globale di 3,2°C entro il 2100 e che ogni regione del mondo debba far fronte ad imprevedibili aumenti dei rischi climatici, dal momento che, ad oggi, i flussi finanziari pubblici e privati per i combustibili fossili sono ancora maggiori di quelli per l’adattamento e la mitigazione del clima.

Climate Collateral, in un rapporto del novembre 2022 del Transnational Institute, mostra che i paesi più ricchi e maggiormente responsabili della crisi climatica stanno spendendo di più per le forze armate che per i finanziamenti per il clima.

Inoltre, le lobby e il silenzio dei media mainstream hanno consentito alle aziende inquinanti di proiettare un’immagine pubblica rispettosa dell’ambiente, facendo allo stesso tempo deragliare la legislazione per la riduzione delle emissioni: Inoltre, i finanziamenti aziendali per prodotti e attività spacciati per etici, Cop dopo Cop, hanno aperto a spazi per mantenere inalterati i profitti, senza imporre disinvestimenti e riconversioni nei settori climalteranti.

I costi a breve termine per porre fine alla dipendenza dai combustibili fossili sono significativamente inferiori rispetto agli sbalorditivi costi ambientali e sociali a lungo termine dovuti all’’accelerazione del cambiamento climatico. Tuttavia, l’attuale quadro politico internazionale e le strategie neoliberiste sono tutt’altro che adeguate ad affrontare l’urgenza della crisi in corso.

A livello internazionale ancora non esistono meccanismi legali per fissare un obiettivo entro una data specifica. né misure di applicazione sanzionatorie se un obiettivo prefissato non viene raggiunto.

Gli accordi non menzionano sanzioni per i combustibili fossili, né tantomeno la necessità di lasciare l’80% di ciò che di essi rimane nel sottosuolo. Inoltre, non si affronta la necessità di tagliare i sussidi governativi ai fossili, alle spese militari, ai viaggi aerei, alle spedizioni, in chiave di decarbonizzazione globale. La verità è che le discussioni nelle Cop sono state dominate da soluzioni basate sul mercato.

Gli attivisti per la giustizia climatica, tuttavia, sono profondamente preoccupati che il commercio di carbonio porti a una crescente “finanziarizzazione della natura” (v la documentazione diffusa da Riccardo Petrella).

Dall’accordo di Parigi, il gruppo della Banca mondiale ha investito oltre 12 miliardi di dollari in fossili combustibili di cui 10,5 miliardi di dollari erano nuovi finanziamenti diretti verso progetti di combustibili fossili. Secondo un rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia, nel 2022 i governi hanno speso più di 900 miliardi di euro in sussidi ai combustibili fossili: oltre il doppio di quanto speso nel 2021.

Il clima contemporaneo e la crisi politico-economica vanno oltre le sperimentate crisi del capitalismo. La tecnologia e il mercato in sé non sono gli unici problemi. Il fallimento e l’inadeguatezza delle false soluzioni richiede che mettiamo in discussione i presupposti fondamentali del mercato dominante e del paradigma tecnologico e ci spostiamo verso un paradigma di partenariato ecologico in grado di fornire soluzioni autentiche al clima e alle relative crisi. E qui collidono aspetti non solo strettamente economici.

Le radici della crisi climatica risiedono nell’ignoranza dell’interdipendenza di tutti i fenomeni mentali e fisici. Una coscienza miope ha portato e continua a portare a una massiccia distruzione dell’ambiente e della società umana, ampliando le disparità economiche ed i conflitti sociali. Come ha spiegato Schumacher, è necessario distinguere tra bisogni e desideri umani e capire che abbiamo il potere di trasformare la nostra coscienza individuale e collettiva. Ciò ha una grande rilevanza per l’inclusione consapevole di criteri etici, sociali ed ecologici nel processo decisionale economico. Questi principi incorporerebbero, ad esempio, la non violenza e il rispetto compassionevole per tutta la vita, inclusa la biodiversità; una spiccata generosità e onestà nelle parole e nelle azioni, comprese la trasparenza e la responsabilità aziendale.

Oltre a passare alle energie rinnovabili, dobbiamo allontanarci dal consumo di merci prodotte in modo non sostenibile e aumentare la democratizzazione del controllo sulle risorse globali e sul processo decisionale economico. Per sradicare la povertà e la fame tra i gruppi emarginati, occorre ridurre il consumo eccessivo da parte dei ricchi e riparare al sottoconsumo tra i gruppi più poveri e predisporre una più equa distribuzione della ricchezza e del reddito.

Come afferma la Dichiarazione sui cambiamenti climatico – The Time to Act is Now –

“Se i leader politici non sono in grado di riconoscere l’urgenza della nostra crisi globale dobbiamo sfidarli senza scampo con campagne sostenute di cittadini”

 

EUROPA: NUOVE ALLEANZE PER CONTRASTARE IL NEW DEAL

Per adeguare il quadro giuridico Ue agli obiettivi del Green Deal, le tensioni geopolitiche, oltre a quelle climatico ecologiche, come la dipendenza energetica dalla Russia e le sue ricadute economiche e sociali, sono alla base dell’attuale spinta politica ad accelerare. Ma molte sono le tensioni che si sono moltiplicate tra i singoli Paesi, mentre la loro collocazione è segnata dalla maggiore o minore dipendenza dalla stretta che la NATO opera sul futuro energetico dell’Europa, nonché dall’autonomia residua che ogni singolo Paese potrebbe assicurarsi in un prossimo futuro. In questo senso, la corsa verso le rinnovabili a carattere locale sarebbe una soluzione a portata di mano, ma le forniture di pannelli solari, pale eoliche e terre rare rendono più insistente la presenza della Cina sullo scenario dell’intero continente. Questa è una delle ragioni per cui lo spostamento dell’asse europeo verso la Polonia ed i Paesi Baltici, fortemente favorito dagli USA, trova una sponda nel ritardo con cui la manifattura italiana, spagnola e tedesca ritardano nei loro programmi di transizione e prolungano i tempi di dipendenza dal gas e perfino dal carbone e dal nucleare.

La guerra in Ucraina sta segnando un percorso tortuoso che mette in discussione la linearità degli obbiettivi del new green Deal UE.

L’aspetto più grave è che questo ritardo comporta che l’obbiettivo di temperature entro +1.5°C entro fine secolo sia ormai perso, dal momento che questa soglia sarà probabilmente superata per la prima volta già nel corso di questo decennio, con il

66 per cento di probabilità di superarla già entro il 2027.

Secondo i dati della World Meteorological Organization, quello dei Paesi Mediterranei sarebbe uno sforamento temporaneo in una tendenza di costante aumento delle temperature medie globali, mentre in Italia, in particolare, gli eventi meteo estremi diventerebbero sempre più intensi e frequenti.

Ed è quasi certo (98%) che almeno uno dei prossimi cinque anni sarà il più caldo di sempre, battendo il record assoluto del 2016, così come è quasi certo che il periodo 2023-2027 sarà complessivamente il quinquennio più caldo mai registrato.

Purtroppo, la direttiva Red 3, tra i pezzi più importanti del pacchetto Fit for 55, si è incagliata proprio al Comitato dei rappresentanti permanenti che coordina e prepara i lavori di tutte le riunioni del Consiglio europeo.

Lo scoglio è la Francia e in particolare la sua posizione sulla definizione dell’idrogeno prodotto da energia nucleare. la Francia sta usando il ritardo deliberativo come strategia per ottenere più sostegno per il proprio nucleare.

Anche l’Italia segue l’esempio francese. Infatti, il governo Meloni non tiene il passo del sistema di aiuti europei, non solo sul PNRR. IL 27 Giugno è scaduta la data di aggiornamento dei piani nazionali climatici e sull’energia che fanno riferimento agli obbiettivi del Green Deal UE, che prevede la neutralità climatica per il 2050. Ancora non è chiaro quali obbiettivi raggiungerà il nostro Paese.

Nel frattempo, il consiglio di 28 accademie scientifiche nazionali degli Stati membri dell’Ue ha elaborato un documento in cui spiega l’urgenza di uscire dal gas, aggiungendo che per aumentare massicciamente la produzione di energia elettrica da rinnovabili occorre sostenere le famiglie e le imprese vulnerabili per limitare la povertà energetica e gli impatti derivanti da bollette energetiche elevate. Un programma dettagliato e ragionevole, in cui si esclude che investimenti in gas naturale vengano considerati compatibili con l’obbiettivo di contenere la temperatura del Pianeta entro 1,5°C.

Eppure, il 23 maggio, il nostro Consiglio dei Ministri ha approvato, proprio nel decreto per le alluvioni in Emilia-Romagna, una norma che, all’art 6, consente di “realizzare nuova capacità di rigassificazione e di spostare, per utilizzarle altrove, se occorre, le navi che stoccano e rigassificano gas liquefatto”. La contraddizione è palese e contiene addirittura una provocazione: l’emergenza non si concentra solo sulle popolazioni colpite, ma viene in subdolo soccorso degli interessi di Big &Oil, tra i responsabili accertati degli eventi disastrosi cui assistiamo.

È ormai grande la distanza dei governi dalle emergenze epocali che la scienza segnala e a cui le nuove generazioni dedicano finalmente grande attenzione. Non si tratta più soltanto di una “Greta” da isolare quando contesta gli effetti letali delle combustioni fossili, ma di un’ondata in crescita di ragazze e ragazzi che hanno consapevolezza di quanto il presente non prepari per loro un futuro desiderabile.

Occorre rendersi conto che, con un lavoro assiduo e dietro le quinte dei comitati, dei think-tank e dei conferenzieri strapagati, ma anche dentro le commissioni istituzionali dei Parlamenti nazionali della UE e dei vari G7, sta prendendo piede una versione ancor più sofisticata della presa di posizione a favore del negazionismo climatico: le rinnovabili consumeranno troppi materiali rari, non potranno raggiungere il 100% e dovranno obbligatoriamente cedere il passo ad un pesante soccorso di gas e nucleare per “scollinare” il 2050. Risulta così ancor più brusca la distanza tra la scienza (non solo quella di fisici eccellenti come Rovelli o Parisi, ma quella dell’intero staff globale dei climatologi dell’IPCC) ed i governanti, che si alleano per andare all’attacco degli accordi internazionali sottoscritti a Parigi nel 2015 e, anno dopo anno, infranti.

Le manovre di avvicinamento tra il Ppe (destre classiche) e i sovranisti (destra estrema), nella prospettiva delle prossime elezioni europee (6-9 giugno 2024), si stanno concentrando proprio sul freno al Green New Deal UE. I contatti sono sempre più stretti e contano anche sulle convenienze di settori finanziari e industriali legati alle fonti fossili e nucleari e sulla influenza sui rispettivi governi (si veda le nomine negli enti del governo italiano) di imprese partecipate che approfittano della guerra in Europa per accumulare extraprofitti da impianti obsoleti e drammaticamente nocivi. Un recente studio pubblicato da Reclaim Finance, ReCommon e Greenpeace ha calcolato che meno del 20% degli investimenti previsti da Eni nei prossimi anni andranno a finanziare progetti di energie rinnovabili, superando del 70% l’attesa riduzione delle emissioni annunciata dalla IEA per il 2030.

La destra europea, compresa quella italiana, punta – dopo l’invasione russa dell’Ucraina – a mantenere gas e nucleare in una funzione cruciale nella transizione verso il “tutto elettrico”. E la ragione politica sfugge tuttora purtroppo anche agli ambientalisti e alle sinistre: c’è un tratto di liberismo che è ampiamente sostenuto nel mercato energetico. Da quando i flussi energetici statunitensi hanno contribuito a sostituire buona parte del petrolio e del gas russi, l’aspetto proprietario dello shale gas americano fornito da produttori indipendenti ed estratto su terreni di proprietà privata, viene giocato sul libero mercato. In tal guisa, il gas liquido estratto (GNL) diviene proprietà dell’acquirente non appena viene caricato su un’apposita nave cisterna ed il carburante è considerato franco a bordo (FOB) in quanto all’acquirente è data la flessibilità di spostarlo in qualsiasi luogo desideri. Ciò significa spesso vendere il gas liquefatto nel luogo in cui il prezzo produce il maggiore profitto. Un danno per i consumatori, ma non per Total, ma anche per Eni e per le aziende private o ex municipalizzate che hanno interesse ad avere più gas in circolazione ed a venderlo ovunque richiesto, in Italia o altrove, possibilmente sul mercato spot, perché questo massimizza i loro profitti.

Quindi, mantenere turbogas e condotte e puntare a fare dell’Italia “l’hub europeo del gas” (un punto di vendita nel caso di sovrabbondanza) significa badare ad interessi molto precisi, a danno, ovviamente, della sostituzione con energie da rinnovabili (ad uso misurato delle comunità locali). Il governo Meloni non vuole “scatenare le rinnovabili”, mentre non ha problemi a dare immediata via libera ad una nave “gasiera” – una fabbrica galleggiante che arriverà a Giugno a Ravenna, mentre un impianto simile è arrivato a Piombino a Marzo tra mille polemiche. Intanto, è in costruzione un nuovo gasdotto tra Sulmona, in Abruzzo, e Minerbio, in provincia di Bologna, per nuova capacità di rigassificazione nazionale, qualificato come “opera di pubblica utilità indifferibile e urgente”.

Ovviamente, le compagnie del gas puntano ai fondi del PNRR e di RePowerEu, o, almeno, ad ottenere garanzie pubbliche per un piano di investimenti che ci legherà ancora di più al metano negli anni a venire: non importa se la domanda interna diminuisce, si venderà altrove.

Velocizzare l’installazione di impianti eolici e solari, sviluppare le “comunità energetiche”, agire sull’efficienza, riconvertire i consumi e puntare alla sufficienza richiede mobilitazione ed una coalizione sociale che sappia fare un’opposizione propositiva a tutela dei giovani e del lavoro. Le mobilitazioni su tutto il territorio nazionale per la campagna “Scateniamo le rinnovabili” procedono con successo dall’inizio di giugno.

 

IL MIRAGGIO DEL NUCLEARE RISPUNTA   ANCHE IN ITALIA?

Negazionismo climatico e opposizione alle politiche energetiche verdi saranno al centro dei programmi di molti partiti di destra nelle elezioni europee del 2024.

Non era certo prevedibile, prima della pandemia e della guerra in Ucraina, che l’UE rallentasse il suo cammino da apripista dell’abbandono dei fossili. Dopo la prima svolta, nota come 20/20/20 (il “pacchetto clima-energia 20-20-20” varato dall’Unione Europea nel 2014) e il successivo programma Next Generation EU corroborato dal REPowerEU (approvati dopo il 2020 senza significative opposizioni), il percorso della decarbonizzazione sta incontrando ostacoli non previsti.  Non tanto per la scontata ostilità delle “Big Oil”, quanto per la presa di distanza delle forze di destra emergenti, che si caratterizzano, oltre che per l’arretramento sul fronte sociale, anche per un comportamento negazionista riguardo al cambiamento climatico. La loro è, in particolare, una dichiarata resistenza contro la mobilità elettrica e la penetrazione inarrestabile delle rinnovabili nel mix energetico di nazioni in cui cresce purtroppo la loro rappresentanza. Goetz Kubitschek, ideologo neonazista, definisce addirittura gli ambientalisti un “nemico antropologico” da contrastare “concettualmente”.

Molto ha a che fare con una ripresa del nazionalismo in Europa, che induce a prese di posizione politiche di attacco alla scienza intesa come un insieme politicamente antagonista, fondato su discipline che validano su scala mondiale le emergenze in corso. proponendo soluzioni che antepongono la salvezza della biosfera – cioè della maggioranza dell’umanità – agli equilibri geopolitici – che favoriscono la potenza delle armi e dell’economia di singoli blocchi.  Non deve sembrare un caso che, ad esempio, la polemica tra scienziati italiani di chiara fama ed esponenti del nostro governo si sia fatta più insistente sulle due grandi emergenze che segnano il tempo attuale: la guerra e il clima. (v. Rovelli, Pasini, Balzani e i 300 ricercatori che hanno inviato alle istituzioni un documento sull’origine antropica del cambio climatico).

Ho cercato di segnalare che gli interessi che collegano grande capitale e orientamento politico antiambientalista vengono portati alla luce sotto forme e narrazioni nuove rispetto al passato. Si parte dal sostenere la necessità di indipendenza energetica da potenze ostili e ricattatrici. Si prova, di seguito, a convincere che un orizzonte del 100% di fonti rinnovabili territoriali non sia praticabile perché richiederebbe di attenersi ad un criterio sociale “scomodo” di sufficienza nell’organizzazione degli stili di vita. Si conclude, pertanto, che il benessere della popolazione (in ovvia coincidenza con la massimizzazione dei profitti per le imprese), verrebbe assicurato solo con il ricorso ad ulteriore combustione di gas integrata da una disseminazione territoriale di “nucleare pulito”, sotto forma di grandi e piccoli reattori.

E qui il ragionamento si inceppa. Una pala eolica o un pannello solare hanno il loro impatto e si portano con sé un po’ di problemi, ma sicuramente non quelli di ripetere catastrofi come quelle di Chernobyl o Fukushima. Inoltre, sarà pur chiaro che il tempo per continuare a vulnerare con emissioni climalteranti (metano) la nostra atmosfera viene ormai a mancare e che la guerra in Ucraina, tra tante altre cose, ha scoperchiato l’estrema pericolosità degli impianti del “nucleare civile” in situazioni di stress e di conflitto. Ci sono legami così indissolubili tra il gas e i conflitti bellici, tra l’atomo “di pace” e quello “di guerra”, da prendere in considerazione una dimensione più ampia di quella strettamente nazionale.

Per tante ragioni, quindi, non si può restare indifferenti al fatto che quanto detto dal ministro  Pichetto Fratin:  “l’Italia per la conoscenza che ha rimane nel nucleare, nella ricerca e nella sperimentazione”, abbia poi dato seguito,  neanche due mesi dopo, all’approvazione alla Camera di  una mozione che impegna il governo “a partecipare a iniziative sul nucleare in Europa e alla produzione extraterritoriale, al fine di accelerare il processo di decarbonizzazione dell’Italia e di  valutare l’opportunità di inserire l’atomo nel mix energetico nazionale quale fonte alternativa e pulita per la produzione di energia”. Si fa riferimento forse alla fusione o ai piccoli reattori modulari (SMR: Small Modular Reactor) che non esistono, anche dopo che la prmier Giorgia Meloni ha affermato che “l’atteggiamento del governo rimane pragmatico, ispirato al principio di neutralità tecnologica”.

Il fatto è che l’interesse per l’alleanza nucleare a guida francese acquista slancio in UE: senza grande clamore. Il nostro governo ha sottoscritto insieme ad altri 15 Paesi (più il Regno Unito) un patto per il rilancio del nucleare in Europa, chiedendo che venga “sdoganato” come strumento nella lotta contro la crisi climatica.

Così, Belgio, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Slovenia, Slovacchia, Estonia, Svezia, Italia e Regno Unito partecipano all'”alleanza nucleare” che preparerà una tabella di marcia per sviluppare un’industria nucleare europea integrata che raggiunga 150 GW di capacità nel mix elettrico dell’UE entro il 2050.

Il colosso elettrico Enel, ad esempio, nonostante l’approccio critico all’atomo dell’ex AD Starace fosse ancora vivo non più di un anno fa, ha comunque stretto un accordo con la startup italiana Newcleo, una società con sede a Londra nata nel 2021per i reattori a fissione di quarta generazione. L’obiettivo dichiarato è l’innovazione nel settore e finora ha raccolto 400 milioni di euro. L’obiettivo di dettaglio per quanto riguarda l’apporto italiano è l’installazione del primo reattore entro il 2030 in Francia e di un secondo, due anni dopo, nel Regno Unito. Poi, chissà. Intanto, collabora con l’Enea per testare la componentistica e “sviluppa” una capacità nucleare di oltre 3,3 GW in Spagna, mentre detiene il 33% nella società slovacca Slovenské Elektrárn, che gestisce la seconda centrale nucleare di nuova costruzione collegata alla rete Ue fra 15 anni.

La volontà della nuova maggioranza di riaprire il dossier nucleare anche in Italia è chiara e questo mette in cattiva luce il tema del blocco delle rinnovabili e le responsabilità delle istituzioni (in primis il Governo ma in diversi casi anche Regioni e Sovrintendenze) nel ritardarne il lancio. Occorre una presa di coscienza il più ampia e generale, a cominciare da subito e ad estendersi nel tempo.

Oltre 20 associazioni, movimenti ecologisti e studenteschi, hanno cominciato a manifestare con modalità provocatorie, ironiche e comunicative, sfruttando in maniera il più possibile scenografica la presenza di pannelli solari e pale eoliche (simboliche, di cartone) nelle piazze e strade antistanti le sedi decisionali per sostenere lo sviluppo delle fonti pulite, oggi frenate da burocrazia, amministrazioni locali e regionali, sovrintendenze e, soprattutto,  interessi legati alle fonti fossili e coperti da un intollerabile  negazionismo condiviso dal governo.

 

(tratto da: Alternative per il Socialismo, giugno 2023)

 

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