La Palestina e Jenin di Roberto Fieschi

 

Nella notte tra domenica 2 e lunedì 3 luglio, l’esercito di Israele ha avviato un’offensiva a Jenin, sede di uno dei maggiori campi profughi palestinesi. Secondo lo Stato ebraico l’operazione ha l’obiettivo di sgominare i gruppi armati palestinesi che hanno fatto di Jenin un posto sicuro nel nord della Cisgiordania, da cui organizzar le proprie attività.

Il 4 luglio, le truppe israeliane hanno proseguito la loro caccia all’uomo; circa 4.000 palestinesi sono fuggiti dal campo profughi. Il bilancio delle vittime palestinesi è di 12 morti, i feriti almeno 100.

Secondo l’agenzia Associated Press, nel 2023 più di 140 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano in Cisgiordania. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, il 2022 è stato l’anno più sanguinoso per i palestinesi della Cisgiordania dalla fine della Seconda intifada (2000-2005). Il 2023 sembra destinato a battere questo record.

(La Cisgiordania, o West Bank, la «riva occidentale» del fiume Giordano, è la regione dove vive parte della popolazione palestinese)

Le violenze non provengono da una parte sola. Il 27 gennaio un ragazzo palestinese ha ucciso sette civili israeliani e ne ha feriti altri cinque a Gerusalemme, l’evento più mortale dal 2008.

Da venerdì 30 marzo 2018, per sei settimane, i palestinesi hanno iniziato la Marcia del Ritorno indetta da Hamas (“) per rivendicare il “diritto al ritorno” nelle loro terre dei discendenti dei palestinesi, cacciati nel 1948 e in seguito.  Hamas ha scritto sul suo sito: “Vogliamo sottolineare che la marcia è pacifica. Parteciperemo alla marcia con le nostre mogli e i bambini. Vogliamo presentarci disarmati alle frontiere delle nostre terre occupate per portare il nostro messaggio al mondo.

(“) Movimento della Resistenza Islamica, fondato  nel 1987, sotto la pressione della prima intifada ,come braccio operativo dei Fratelli Musulmani per combattere con atti di terrorismo lo Stato di Israele, Hamas ha commesso e rivendicato svariati attentati suicidi contro i civili israeliani, Gestisce anche ampi programmi sociali, e ha guadagnato popolarità nella società palestinese con l’istituzione di ospedali, sistemi di istruzione, biblioteche e altri servizi in tutta la Striscia di Gaza.[

Huwara è una cittadina palestinese a sud di Nablus, nella Cisgiordania occupata. La mattina del 26 febbraio 2023, due fratelli israeliani sono stati uccisi in un attentato palestinese; centinaia di coloni israeliani coloni della zona si sono abbandonati ad ore di violenza incontrollata e ad incendi dolosi nella città e nei villaggi vicini. L’attacco ha generato in Israele una protesta pubblica contro i coloni che lo hanno commesso; migliaia di persone sono scese in strada  in diverse città, per protestare contro l’occupazione e in solidarietà con la popolazione di Huwara.

Secondo una inchiesta commissionata dal Consiglio diritti umani dell’Onu, ci sono prove che lo Stato ebraico abbia commesso crimini contro l’umanità nel rispondere alle proteste cominciate a Gaza. L’indagine svolta da Santiago Canton, presidente della Commissione d’inchiesta, ha raccolto le prove di crimini commessi dall’esercito israeliano nel respingere le proteste. Circa 250 palestinesi sono stati uccisi e 8000 feriti in 11 mesi durante le manifestazioni lungo le linee di demarcazione tra Gaza e Israele.

La commissione smentisce la tesi israeliana secondo la quale le proteste erano volte a mascherare atti di terrorismo. “Le manifestazioni erano di natura civile, con obiettivi politici enunciati chiaramente” – si afferma nel rapporto – “nonostante alcuni atti di violenza significativi.

La commissione ha condotto 325 interviste con le famiglie degli uccisi, con i feriti, testimoni e altre fonti.

Sotto assedio israeliano da oltre 11 anni, il 54% della popolazione di Gaza è disoccupata, il 53% vive in povertà e l’insicurezza alimentare è salita al 68%.  Quasi tutta l’acqua non è potabile, la disoccupazione giovanile è altissima, e circa  l’80 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Sia l’Onu, sia il Comitato internazionale della Croce Rossa (Icrc) definiscono il blocco imposto a Gaza una “punizione collettiva”.

La leadership israeliana da decenni porta avanti il progetto di annessione progressiva dei territori palestinesi, nonostante che l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (&) già da 42 anni abbia riconosciuto lo stato d’Israele: i palestinesi, tramite il suo leader storico, Yasser Arafat, accettarono i confini del 1967.

(&) L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) è considerata dalla Lega araba  la legittima “rappresentante del popolo palestinese“.

Fondata nel 1964, il suo obiettivo era la liberazione della Palestina attraverso la lotta armata. Nel 1988 ha adottato la soluzione a due Stati, con Israele e la Palestina fianco a fianco e con Gerusalemme Est come capitale dello Stato di Palestina.

Nel 1993, il presidente Yasser Arafat ha politicamente riconosciuto lo Stato di Israele come conseguenza degli accordi di Oslo, che portarono alla nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese. Israele ha riconosciuto l’OLP come il rappresentante del popolo palestinese. Arafat è stato il presidente dell’OLP dal 1969 fino alla sua morte nel 2004.

Gli  insediamenti israeliani sono comunità abitate da israeliani nei Territori palestinesi occupati nel corso della Guerra dei sei giorni (1967). Si tratta di veri e propri villaggi, spesso città.

Molti israeliani ritengono che quei territori “appartengano” al popolo ebraico per ragioni culturali e religiose.

Gli insediamenti sono autorizzati e spesso finanziati dal governo israeliano, nonostante che una decisione della Corte Suprema (1979) proibirebbe di realizzarle. Il numero di colonie è andato via via crescendo, oggi sono presenti in Cisgiordania (compresa Gerusalemme Est), e nelle alture del Golan, per un totale di oltre 450mila coloni; secondo il Centro israeliano d’informazione sui diritti umani, dal 1967 sono stati realizzati duecentottanta insediamenti nella Cisgiordania, che hanno frammentato la popolazione palestinese.

La comunità internazionale ha denunciato più volte come illegali le colonie israeliane.

Innumerevoli sono le risoluzioni dell’ONU di condanna al comportamento di Israele; molte condannano la creazione degli insediamenti.

Risoluzione 10/L22 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (21 dicembre 2017): le decisioni che cercano di modificare il carattere, lo status o la composizione demografica di Gerusalemme non hanno alcun effetto legale, sono nulli e devono essere revocati.

Risoluzione 446 adottata dal Consiglio di sicurezza (22 marzo 1979): la creazione di insediamenti da parte di Israele nei territori arabi occupati dal 1967 non ha validità legale e costituisce un grave ostacolo al raggiungimento di una pace completa, giusta. e durevole in Medio Oriente.

Risoluzione 2334 adottata dal Consiglio di sicurezza (23 dicembre 2016): la creazione di insediamenti da parte di Israele nel territorio palestinese occupato dal 1967, compresa Gerusalemme Est, non ha validità legale; il proseguimento delle attività di insediamento mette a repentaglio la fattibilità della soluzione a due Stati basata sui confini del 1967“.

Tutte disattese.

Ecco una denuncia recente (maggio 2023): “L’Ue è sconvolta nell’apprendere che la comunità palestinese di Ein Samiya nella Cisgiordania occupata, che comprende 172 persone, è stata costretta a lasciare definitivamente le proprie case a seguito dei ripetuti attacchi dei coloni e degli ordini di demolizione”.

Il 13 febbraio 2023 il nuovo governo di estrema destra di Benjamin Netanyahu ha legalizzato nove colonie in Cisgiordania; il 26 giugno ha approvato la costruzione di più di 5.000 nuove unità abitative negli insediamenti in Cisgiordania.

“We still need a two-state solution. It is the only answer. The only answer.” ha dichiarato il presidente Biden in merito ai recenti scontri tra Israele e Hamas. È evidente che Biden non può credere a quanto afferma.

Un recente rapporto di Amnesty International sostiene che le autorità israeliane sottopongono i palestinesi a trattamenti considerati crudeli e disumani dalla Convenzione sull’apartheid e/o dallo Statuto di Roma.

Per questo rapporto, Amnesty International ha esaminato: gli atti di trasferimento forzato; i casi di detenzione amministrativa e tortura; le uccisioni illegali e le lesioni gravi; la negazione dei diritti e delle libertà fondamentali o la persecuzione commessa nei confronti dei palestinesi

Per la stesura del rapporto, Amnesty International ha svolto ricerche tra luglio 2017 e novembre 2021.

Anche Human Rights Watch sostiene che Israele mostra l’intenzione di mantenere il dominio degli ebrei israeliani sui palestinesi in Israele e nei Territori palestinesi occupati.

La legge israeliana tratta il popolo palestinese, nonostante rappresenti il 19 per cento della popolazione in Israele, come un gruppo inferiore e separato, cittadini di seconda categoria sotto tutti gli aspetti politici, sociali ed economici.

Questo concetto è stato esplicitato nel 2018 dal nuovo governo con la legge Israele Stato-Nazione degli Ebrei”: Israele è lo “stato-nazione del popolo ebreo” e il diritto all’autodeterminazione è esclusiva del popolo ebraico.

Non può non colpire la disparità di comportamento della comunità internazionale, limitato a parole e auspici, rispetto al sostegno militare ed economico all’Ucraina: sostegno pronto ed efficace.

E stupisce l’ipocrisia dei Paesi amici di Israele, che per anni hanno finto di sostenere la soluzione di due Stati in Palestina, mentre per decenni, con qualsiasi governo, Israele ha allargato la sua occupazione della Cisgiordania.

Per capire come si è giunti a questa situazione sarebbe utile ripercorrere la storia della Palestina negli ultimi cent’anni, da quando il territorio faceva parte dell’Impero Ottomano; allora la popolazione ebraica era di 84.000, pari all’11% della popolazione totale, di poco superiore alla popolazione della comunità cristiana e inferiore a quella dei nomadi beduini.

Sappiamo bene che del drammatico deterioramento della situazione sono in buona parte responsabili gli Stati arabi, che non hanno accettato il nuovo Stato e hanno più volte aggradito Israele (Guerra arabo-israeliana del 1948,  Guerra dei sei giorni del 1967, Guerra del Yom Kippur del 1973), mettendo in gioco la sua stessa esistenza.

Lontano è il tempo in cui molti di noi condividevano il sogno di grandi personalità del mondo ebraico, tra le quali   Albert Einstein, di uno stato multinazionale, multiculturale e unito in Palestina, in cui convivessero pacificamente ebrei e arabi. Ricordiamo che la Dichiarazione di indipendenza del ’48 che prescrive “completa eguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso”.

 

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