L’arte di giocare con le parole di Diego Giachetti

 

Chi scrive vuole innanzi tutto ringraziare Giuseppe Muraca, autore del libro Il giovane Palazzeschi (Ombre corte, Verona 2021), per averlo strappato dalle solite letture di saggistica storico-politica e condotto nel mondo creativo e divertente costruito da quel poeta giocoliere delle parole. L’argomento svolto da Muraca è la risultante di una passione sentita in età giovanile per la letteratura e l’arte d’avanguardia che lo condusse a scoprire Palazzeschi (1885-1974) sui banchi di scuola. Il libro è la testimonianza di quel primo amore e dei suoi sviluppi.

Il giovane poeta amava presentarsi come un illetterato, difatti il suo percorso formativo esulava da quello tipico dei poeti laureati. Provocatoriamente diceva di aver iniziato a scrivere più per rispondere a un istinto a un bisogno “fisiologico”, che ad una regolare e consapevole educazione letteraria ed estetica. Voleva presentarsi come un “poeta leggero”, che veniva dalla strada e solo rare volte era andato in biblioteca, “riportandone sempre un senso di oppressione e di melanconia”, che si riversava nell’insofferenza verso il clima cultural-letterario dei primi del Novecento, intriso di tardo romanticismo, di valori decadenti e di un simbolismo di maniera.

Ritrovare le parole

L’esordio poetico è parallelo a quello dei poeti crepuscolari. Nei suoi primi versi si legge il distacco dalla realtà e dalla storia, accidiosa e grigia dell’età giolittiana, la fuga nel sogno, nell’immaginazione che denotano l’atteggiamento rinunciatario, la solitudine, un certo pessimismo. Contenuti espressi con una narrazione nuova e sperimentale per l’epoca: niente rime, una scrittura essenziale, poche parole per raccontare un mondo dimesso, popolato da personaggi bislacchi, fuori contesto. Una visione che riflette la crisi dei valori ottocenteschi e si abbandona, a tratti, alla regressione all’infanzia che lo accomuna a certo crepuscolarismo e al Pascoli, per tradursi però in un bambinesco giocare con le parole, per inventare un nuovo linguaggio che si discosti dalle forme belle, auliche e retoriche di Carducci, D’Annunzio e dei tanti imitatori. La sua scrittura sembra seguire il flusso del pensiero sfuggendo al controllo della ragione e dei canoni linguistici della poetica. È il suo modo di rompere con la melanconia, facendo parodia dei miti e delle figure del repertorio simbolista, superando il sublime romantico-decadente, con un cambiamento di stile e di tono, un linguaggio discorsivo, più colorito ed estroso, con sprazzi di crudo espressionismo.

Io sono il saltimbanco dell’anima mia, così si definisce. Un letterato, un intellettuale coinvolto nella modernità degradata della civiltà industriale, in cui l’arte ha perso sacralità, è diventata merce. Pertanto il poeta assume sembianze istrionesche, un buffone che riscopre lo spirito ludico-creativo della parola. Un poeta giocoliere che si diverte a smontare e deformare le parole, mettendo in discussione le regole del bello scrivere. Un esempio fra i tanti ci viene dalla più nota e conosciuta delle sue liriche, La fontana malata, che tanto piacque a Filippo Tommaso Marinetti e ai futuristi, nella quale si esprime una poetica in cui i suoni hanno un valore assoluto grazie all’alto grado di distruzione e reinvenzione della parola. Il poeta, ancora isolato e sconosciuto, emerge quando Marinetti pubblica nel 1909 il Manifesto di fondazione del futurismo. Palazzeschi lo contatta e Marinetti pubblica la sua raccolta di poesie sotto il titolo L’Incendiario, un fuoco distruttore che libera energia, innovazione, rigenerazione.

Il giocoliere futurista

Come per tanti altri, il futurismo rappresenta il riscatto, la liberazione dalla gravosa tradizione, dal passatismo, dall’ipocrisia benpensante; offre una prospettiva di rifondazione dell’arte e della letteratura, una rivoluzione dell’esistenza e della realtà. Per Palazzeschi l’approdo al futurismo è il punto d’arrivo di un percorso creativo e di una ricerca sperimentale. Con la poesia Lasciatemi divertire, la poetica della trasgressione esprime bene la crisi dei valori della letteratura e dello scrittore nella società di massa moderna. Rivendica il diritto e la libertà di trasgredire codici e canoni tradizionali, di praticare la scrittura come attività ludica travestendosi da buffone e commediante. La maschera del saltimbanco è ripresa e indossata quale simbolo della rivolta contro la tradizione. Serve a satireggiare i valori, i costumi e gli istituti dominanti ad opera di uno spirito libero e libertario che infrange il linguaggio aulico e sublime, deride costumi, pregiudizi e tabù. Con i successivi lavori, Il Codice Perelà, l’uomo fatto di fumo, dedicato polemicamente al “pubblico che ci ricopre di fischi, di frutta e verdure” nel corso delle serate futuriste, e Il Controdolore, egli s’impone come uno dei più autorevoli rappresentanti del primo futurismo. Una partecipazione, la sua, autonoma, da spirito libero, in grado di osservare e commentare con sarcasmo le spaccate vitalistiche del futurismo, l’esaltazione della macchina, l’irrazionalismo, la violenza e la guerra. Vuole il rovesciamento futurista del dolore, capovolgere tutto ciò che ha impedito all’uomo di conquistare un’esistenza piena e autentica. Afferma che la serietà non è più profonda dell’allegria, che l’uomo, tra tutti gli animali, è l’unico che ha il dono del riso. Vuole che le nuove generazioni siano educate alla scienza del riso e della felicità.

Nel 1914 Palazzeschi si schiera coi neutralisti, condanna il militarismo e la guerra, propugna un pacifismo di carattere etico, umano, più che politico, critica quindi anche il futurismo interventista, dal quale si separa proprio quell’anno. Ma quando per l’Italia la guerra scoppia nel 1915, suo malgrado si pronuncia a favore, dopo che la decisione è stata presa, imposta dice dai tedeschi ritenuti responsabili del conflitto. Guerra e dopoguerra sono vissuti come momento del disincanto. È l’ora dell’esame di coscienza. La vita poetica continua, ma c’è il ritorno all’ordine e la sua attività ne risente. Non rinnega del tutto l’avanguardia, ma sempre più prevale il richiamo ai valori tradizionali e ai modelli del realismo ottocentesco.

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